QUALCHE PAROLA Dl CONCLUSIONE

Dicevamo al principio di quest'opera che non era nostra intenzione dare un complesso di ricette bell'e pronte. Ed ecco che, giunti alla fine dl questo lavoro, siamo ugualmente presi dal timore d'essere capiti male, tanto è facile il sospettarlo. Vediamo benissimo certi confratelli, con la matita in mano, segnare certi punti, ripromettendosi di tenerli presenti: li sentiamo sottolineare qualche particolare concreto, che è stato portato solo a titolo d'esempio. E crediamo che vi sia lì un pericolo.

Non già che abbiamo la pretesa di credere che tutte le nostre idee siano buone. Non è il timore di vederne respinte alcune — e magari la maggioranza — quello che ci spinge a scrivere questa conclusione. Abbiamo detto abbastanza che non volevamo presentare alle parrocchie popolari un «modello» preso a prestito dalla nostra. Vorremmo tuttavia insistere su quest'idea: che cioè l'apostolato «missionario» è un insieme, un tutto, e che si tratta d'uno spirito da assumere e da diffondere, non già di procedimenti fittizi e frammentari da usare.

Abbiate dunque nella vostra chiesa una liturgia vivente con splendide cerimonie: non per questo influirete sulla massa, se non cercherete di costituire nella vostra parrocchia tutta una rete d'apostolato.

Al contrario, potete lanciare con tutti i vostri sforzi un movimento di conquista, il migliore fra tutti, e dirigerne sufficientemente il cammino: se la vostra chiesa non è accogliente, se le vostre cerimonie sono incomprensibili, se le persone conquistate dai vostri militanti non vi trovano un'iniziazione ai grandi misteri, i vostri sforzi d'apostolato corrono il rischio di fare un buco nell'acqua. Che cosa saranno le vostre funzioni meglio preparate, più ricche d'addobbi e di canti, se i vostri astanti non sono anzitutto riscaldati da una predicazione avvincente, diretta, che crei un'atmosfera di pietà e d'unione? Potete mettere insieme tutti questi sforzi liturgici ed apostolici, e tuttavia attendere invano il risultato. Basterà per questo che voi, parroco o vicecurato, siate freddo col vostro popolo, lontano da lui: basterà che i vostri operai non si sentano a loro agio con voi. Basterà forse che, a torto od a ragione, nella vostra parrocchia vi si appioppi la nomea di «uomo danaroso» o di prete «borghese».

E se vi lascerete accaparrare completamente dalle vostre opere di bambini o di giovani, dall'amministrazione delle vostre riunioni, quando troverete il tempo di fare un po' d'apostolato diretto? Se, d'altra parte abbandonerete i ragazzi, per occuparvi unicamente degli adulti, rischierete d'avere, in capo a pochi anni, la chiesa vuota.

Ripetiamo dunque che si tratta di un tutto, d'un complesso, e che per di più si tratta di vedere — con occhi ben spalancati e sempre nuovi — i problemi che si presentano, d'essere capaci di risolverli con mezzi diversi da quelli che ci vengono dall'abitudine o dall'usanza. È chiaro che, in questo senso, alcuni dei nostri capitoli non fanno altro che esporre il problema, senza neppur pensare di risolverlo.

Infine, se il nostro pensiero è stato ben compreso, ci sarà resa questa giustizia: per quanto possiamo forse sembrare rivoluzionari, in realtà non facciamo altro che risalire alle sorgenti stesse dell'apostolato più tradizionale e più primitivo: il messaggio integrale di Cristo portato da preti che sono integralmente preti e che respingono ogni mezzo il quale non sia pienamente sacerdotale.

Dice Péguy: «La rivoluzione è un appello d'una tradizione meno perfetta ad una tradizione più perfetta: è un ritorno alle sorgenti».

Possano queste pagine essere un ritorno alla sorgente dell'eterno spirito apostolico!

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