don Marco Foschi
Quale prete? per quale chiesa?
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Nicolò Mazza SJ
commento alla morte (suicidio?) di don Matteo Balzano di Novara
Quando eventi così terribili si consumano, restiamo interdetti, senza parole, disorientati.
Eppure, non è semplicemente un mistero che Dio solo conosce, né può essere sbrigativamente archiviato come tale, anche se in definitiva lo è. Anzi, certamente lo è.
Quando eventi così si consumano è perché - di fatto - qualcosa si è spezzato dentro. Lentamente. Inesorabilmente. E si è spezzato in modo irrimediabile e irreparabile.
A volte, chi ci sta vicino neanche se ne accorge. Spesso, però, chi sa, tace. Chi può agire, preferisce guardare altrove, perché già schiacciato dalle proprie cose. L'istituzione rimane troppo impegnata a conservare, proteggere e tutelare sé stessa, a tutti i livelli. Perché spesso, a mancare, è proprio la cura...
No, non è il caso di cercare dei capri espiatori o di speculare sulle ragioni e le eziologie di un gesto che rimane impenetrabile. No, davvero no! Questo non è il momento della speculazione, ma semmai della preghiera e del silenzio.
Forse, però, è anche arrivato il momento di assumersi delle responsabilità, e di farlo in maniera molto umile. Come comunità ecclesiale, certo, ma anche come istituzione ecclesiale.
C'è infatti qualcosa, nella formazione e nella vita di noi preti, che chiaramente non funziona. E questi "difetti" nella formazione sono poi destinati a perpetuarsi, a replicarsi, a mutare forma, ma restando in fondo sempre uguali e portando con sé carichi, spesso insostenibili, di sofferenze taciute e di solitudini inconfessate. Tanto più se vissuti nel segreto, in silenzio, dissimulati dietro al sorriso che tutti si aspettano, dietro alla puntualità e alla precisione che tutti pretendono, dietro alle parole ben costruite che nell'omelia tutti esigono.
Perché - diciamocelo francamente - se sei prete, non ti è più lecito essere un uomo.
Non puoi piangere, perché saresti troppo drammatico; non puoi stancarti, perché saresti un fannullone; non puoi fare una carezza a un bambino senza correre il rischio di essere etichettato come un pedofilo; non puoi accompagnarti a una donna, perché altrimenti hai già l'amante; non puoi avere un amico, perché altrimenti hai già il fidanzato segreto; non puoi dare un abbraccio, perché risulteresti ammiccante; non puoi prenderti le ferie, altrimenti saresti borghese; non puoi toglierti lo sfizio di farti un regalo, altrimenti saresti uno spendaccione; non puoi prenderti cura di te stesso, perché saresti un narcisista; non ti puoi vestire come ti pare, perché risulteresti stravagante; non puoi essere giovanile, perché saresti ridicolo; ma non puoi neanche indossare la tonaca, perché risulteresti noioso... Figuriamoci, poi, se puoi innamorarti o addirittura condividere discretamente con qualcuno che a piacerti, in realtà, sono gli uomini...
Ma che cosa si vuole dai preti? Che cosa ci si aspetta esattamente da un prete? Chi è, in definitiva, il prete? - chiedo per un amico.
La de-umanizzazione del prete, sotto un falso e pretestuoso spiritualismo, è argomento vecchio, ma i cui effetti possono essere tragici. Devastanti...
C'è tanta solitudine, sì, ma c'è anche tanta indisponibilità all'ascolto e, di conseguenza, alla condivisione. Chi è ancora in grado di ascoltare? Chi ascolta noi preti? Dove sono i padri spirituali? - quelli veri, intendo. Qual è il ruolo dell'amicizia nella vita di un prete? Chi si accorge davvero di come stiamo o di cosa stiamo vivendo? A chi importa? A luglio dell'anno scorso - giusto per dirne una - ho perso mia madre e in paese c'è stato chi ha avuto il coraggio di chiamarmi per chiedermi una confessione il giorno dopo i funerali... Ma pensate davvero che siamo di marmo? Davvero pensate che non abbiamo anche noi bisogno di essere capiti? Bisogno di piangere, di abbracciare ed essere abbracciati, bisogno di ritrovarci e di stare con noi stessi e con le persone che amiamo di più? Perché - sapete - anche noi abbiamo delle famiglie che amiamo e anche noi abbiamo delle predilezioni, che piaccia o no, e non tutti sono - né possono essere - i nostri migliori amici, anche se a qualcuno il ruolo da "migliore amico del prete" piace proprio.
A volte, a partire da vescovi e superiori maggiori fino ad arrivare al popolo santo di Dio, si chiedono al prete delle performance che neanche gli eroi della Marvel! Performance sovrumane, perché - appunto - non umane. Mi si dirà che c'è la Grazia. Sì, certo. Grazie!
Inoltre, quando la parola è paralizzata dalla paura o da un sistema che soffoca e minaccia, con chi parlare? Quando la parola è neutralizzata da chi ha il potere, ma lo usa per schiacciare, con chi condividere? Quando non si dà più spazio all'umanità e tutto (o molto) viene ridotto a una silhouette, a un ruolo sociale; quando tutto (o molto) è schiacciato sulle aspettative preconfezionate della gente, la solitudine non è più un'opzione. Diventa il tuo abito quotidiano. Diventa la tua vita.
Senza, poi, contare le gelosie, le competizioni a perdere, le maldicenze, le chiacchiere e le calunnie intra-ecclesiali, che nei nostri ambienti - ahimè - si sprecano nella più totale indifferenza dei più, come se fosse ormai la cosa più naturale del mondo... Se, poi, qualcuno ci perde anche la salute mentale o, peggio ancora, la vita a causa di una calunnia, a chi importa? A chi???
Ora, non è davvero accettabile sentire che nessuno (dico, nessuno) si fosse accorto del malessere di quest'uomo. Davvero, non si può sentire. Nessuno? Ma com'è possibile? Posso capire il sindaco del paese, ma... nessuno? Ma ci rendiamo conto di cosa questo significa? Se davvero "nessuno" si era accorto, in che baratro di solitudine deve essersi ritrovato questo giovane prete? Dentro quale pozzo di disperazione?
Non so perché don Matteo abbia deciso di mettere così fine alla propria vita. Nessuno lo sa. In questo senso, di certo, il suo gesto rimane un mistero. Dolorosissimo e impenetrabile, ma un mistero rimane.
Ciò che resta è il dolore sordo per un gesto che interroga. Sì, che interroga. E deve interrogare, e come se deve interrogare, se non vigliamo che don Matteo sia morto inutilmente!
Non aspettiamo che sia ogni volta troppo tardi. Se c'è da dire qualcosa, diciamolo adesso. Se c'è da denunciare un delitto o un abuso di potere o di coscienza da parte di superiori, vescovi, professori, rettori, denunciamolo adesso. E se c'è da dare una carezza o da prestare una spalla, facciamolo adesso.
Chiedo scusa se, spinto da questa notizia che mi ha profondamente scosso, ho scritto e condiviso delle considerazioni forse fuori luogo o perfino fuorvianti sulla vita di noi preti. Chiedo scusa se tutto questo suona più come uno sfogo.
Buon viaggio, don Matteo!
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