2 - UNA PARROCCHIA APERTA Al NEOFITI

A quanto dicevate, la perseveranza dei nuovi convertiti offre un grave problema, non è vero?

Sì. Quando si considera il numero degli adulti che, nelle nostre parrocchie operaie, si preparano al battesimo o alla Prima Comunione e non perseverano, si rimane angosciati. Ammettiamo che, per una buona parte, i motivi della conversione sono dubbi: concessione ad una fidanzata in vista del matrimonio, o convenienza. Un certo numero, però, vi si prepara lealmente, ed alcuni di quelli che da principio venivano senza convinzione si sono lasciati conquistare dall'insegnamento e dall'esposizione della nostra religione. E del resto sarebbe un disperare del Vangelo il fatto di credere che esso non abbia in sè una forza d'attrazione. Ora, malgrado tutto ciò, un buon numero dei nostri ottimi neofiti, molto commossi nel giorno del battesimo, molto ferventi in quello della Prima Comunione, non restano fedeli alle loro pratiche cristiane. Conservano un buon ricordo del prete che li ha preparati, un'impressione che tutto quell'insieme è bello ed appaga, ma la loro vita non ne è trasformata. Donde proviene questa deficienza? Quali sono coloro che invece perseverano? Quelli che sono sorretti da una comunità. Perseverano i giovani che vengono condotti dai loro compagni e che in un'opera, o in un gruppo, trovano l'ambiente che li sostiene: bastano un'amicizia, una vicinanza, una famiglia. Ma rari, rarissimi, nei nostri ambienti popolari, sono coloro che si reggono da soli.

In primo luogo, dunque, affinchè i nostri neofiti sboccino e rimangano fedeli, bisogna circondarli e farli circondare. E questo è possibile sul piano parrocchiale. Se la nostra parrocchia sarà una vera comunità, se soprattutto si appoggerà su piccole comunità di quartiere, di vicinato, comunità molto umane e molto reali, il convertito non si sentirà isolato. Si taglierà fuori dal suo antico ambiente, senza dubbio; ma subito ne troverà un altro, dove potrà entrare senza sforzo, non costretto per questo a mettersi in un circolo ricreativo o di studio. Ai convertiti ripugna, infatti, lasciarsi accaparrare: diffidano di tutte le apparenze di clericalismo. Offriamo loro comunità di vita religiosa, dove, senza dover dare altra adesione che quella del battesimo, troveranno ugualmente un ambiente, un'anima comune, un'amicizia ed un sostegno.

Basterà questo per garantire la loro perseveranza?

No davvero. Bisogna evitare degli scogli per non urtarli, e ricorrere a dei mezzi per spalancare loro tutte le strade della salvezza... Del resto, non sapremmo fare di meglio che lasciare la parola ad uno di essi. Abbiamo chiesto ad un giovane maestro della nostra parrocchia, battezzato qualche anno fa, ciò che pensa della questione. Ecco quel che ci ha detto:

I - La conversione è un fatto individuale: nell'epoca moderna non si vedono più conversioni in massa, come ai tempi apostolici.

II - II convertito è in una condizione incerta, ed attraversa una crisi dolorosa, nella quale brillano per lui i valori cristiani, nuovissimi e freschissimi. La sua vita cristiana si appoggia non ad un'abitudine, ma ad un dolce impulso interiore, accesogli dentro da una parola di Cristo, o dall'incontro con un suo determinato sentimento. Tuttavia, lo accerchiano ancora molti problemi e molte difficoltà.

III - Bisogna dunque che il convertito sia collocato in un ambiente dove il cristianesimo è vissuto e pensato. Egli deve spesso lottare molto per piegarsi agli «atti esterni»: entrare in un confessionale, fare il minimo segno della croce, assistere alla messa, partecipare ad una processione.
Bisogna che la realtà o il simbolismo, il significato degli atti della Chiesa gli siano spiegati. Bisogna che le cerimonie parrocchiali, la liturgia, le feste siano una iniziazione ai misteri della vita divina.
A causa della mentalità spesso un po' spiritualizzata del convertito, non bisogna che egli sia urtato dalle pesantezze materiali: cassette delle elemosine, questue che disturbano il raccoglimento, sermoni politici o troppo spesso riguardanti la vita sociale, borsa nera, insegnamento. Non saprei dire il bene che fecero ad un convertito certi colloqui innestati su questi versetti di san Giovanni: «Miei diletti, amiamoci fra noi, poichè l'amore viene da Dio e chiunque ama è nato da Dio. Chi non ama non conosce Dio, perchè Dio è amore» (I Giov., IV. 7). E specialmente questo passo: «Chi non ama il fratello, che può vedere, non amerà mai Dio, che non ha mai visto» (1 Giov., IV, 20).

IV - Il convertito ha bisogno d'essere edificato, di incontrare cioè la traccia della santità, di respirarne una volta il profumo.

  1. non nascondendogli che presso i cristiani l'etichetta non può in alcun senso coprire la mercanzia, che non tutti sono edificanti (vedi la bella franchezza degli statuari medievali); niente di meglio per un convertito che sapersi in un ambiente che non ammette lo spirito «di setta» e dove le «bigotte» non sono incensate.
  2. metterlo a contatto con un ambiente veramente cristiano (anche per un intellettuale il fatto di vedere dei giocisti). Visione d'una vita cristianizzata, dove i sacrifici fatti alla purezza non ne hanno per nulla ridotto l'essenza, ma le danno invece giovinezza, vita più abbondante, più aperta, più franca.

V - Il convertito ha bisogno d'edificarsi: e cioè, perchè progredisca nella conversione e nella vita spirituale, perchè «cammini», importa che sia iniziato all'azione, invitato ad amare praticamente i suoi fratelli.

VI - In seguito alla conversione, il convertito è spesso un isolato nel suo intimo. Bisogna che sia invitato ad entrare nella «fratellanza cristiana», senza che la sua timidezza sia trattata duramente. Egli deve sapere che, quando le funzioni sono finite e la chiesa è chiusa, può ricorrere all'amicizia del prete al di fuori della distribuzione dei sacramenti. Ha bisogno d'essere conosciuto e guidato, rafforzato, incoraggiato, iniziato ad una cultura religiosa personale, per mezzo di libri che gli vengono indicati e che egli potrà procurarsi o farsi prestare. Bisogna che il convertito si senta

N.B. - Talora i neofiti sono crudeli di fronte agli increduli: talora, invece, individui sull'orlo della conversione incontrano un ostacolo in quella specie di rottura con l'ambiente a cui appartenevano. È importante mostrare a tutti il rispetto del pensiero, la stima dovuta agli increduli, l'amore di Cristo che invita e cerca tutti, e spezzare assolutamente il sospetto di insincerità e di amoralità, spesso ingiusto, che grava sugli increduli e che arrischia d'ancorarli nella loro incredulità.

Tutto l'essenziale è detto in queste linee, riguardo a ciò che dobbiamo fare per aprire le nostre parrocchie ai neofiti. Se vogliamo veramente che esse siano penetrate di spirito evangelico, e cioè della costante preoccupazione della centesima pecora da riprendere e del suo valore preminente sulle novantanove fedeli, è ben evidente che tutto deve risentirne: i nostri sermoni, le nostre cerimonie, il nostro comportamento.

«Il convertito deve lottare per piegarsi agli atti esteriori», dice il giovane maestro. Bisogna capirlo, e quindi non scandalizzarsi di certe reticenze, di certe esitazioni. Mettiamoci il tempo e soprattutto la pazienza necessari. Non chiediamo nulla prima che sia stato ben spiegato e ben capito. Pensiamo che un'iniziazione di pochi mesi non può aver preparato ai particolari» come un'iniziazione familiare. D'altronde ciò che il convertito non possiede come «abitudini» non lo compensa forse in dinamismo? Non «urtiamo» il convertito con le «pesantezze materiali». Quanti nostri convertiti della I.O.C., quanti nostri militanti venuti dalla piena massa sono stati urtati da certi parroci! Più nuovi, più esigenti, più entusiasti, essi sono intolleranti di certe piccolezze che a noi sembrano normali. Quante preoccupazioni d'etichetta, di precedenza, e quante strettoie di regolamenti li scandalizzano!... Non lasciamoci a nostra volta scandalizzare da loro. Essi sono più logori. Non restiamone stupiti. Cerchiamo di capire che parlano a noi come ai loro compagni di laboratorio.

Formiamo anche i nostri parrocchiani a questa accoglienza dei convertiti. Non si meraviglino nel vedere che diamo la preferenza, il primo posto a qualcuno che sinora non era vissuto in modo esemplare. Preveniamo i nostri fedeli contro lo scandalo farisaico. È così evangelico, questo, e tuttavia così raro nelle nostre parrocchie tradizionaliste. Facciamo vedere ai nostri parrocchiani che certe cose possono essere permesse ad un convertito, ma non a loro. Ecco un esempio.

La Missione di Parigi, per trascinare l'ambiente proletario, si attacca alle squadre miste di divertimento. I missionari potrebbero già darci veri fioretti su questo nuovo apostolato. Sarebbe a dire che consiglieremo le squadre miste ai nostri giocisti? No: nulla di più pericoloso per essi. Se alcuni laici, accuratamente scelti e preparati, possono permettersi un agganciamento difficile, accadono catastrofi quando una sezione giocista vuol fare altrettanto. Ogni volta che una sezione ha la pretesa di organizzare un apostolato misto, passeggiate miste, vi affonda. È molto semplice: i nostri giovani, le nostre ragazze, anche quelli che hanno mantenuto di più il contatto col popolo, con la massa, non sono preparati a ciò. Per loro, è come un regresso. Invece un convertito, che non ha conosciuto altri generi di ricreazioni, può perfettamente restare a contatto coi suoi antichi amici. Per lui si produce un'ascesa ed egli sarà capace di formare un ottimo nucleo. Sappiamo capire bene in questo senso il convertito. Egli ci porta tutto il suo ardore di neofita, tutto il suo dinamismo. Non scoraggiamolo: approfittiamone, invece.

È evidentissimo che, se noi possiamo offrirgli solo il Circolo maschile o la riunione delle donne cristiane come campo di apostolato, egli sarà renitente, a meno che non vi si demoralizzi e non vi intristisca. Ha conosciuto altre miserie, porta in cuore altre angosce, è fatto per orizzonti diversi dalle piccole lotte intestine di quelle brave persone. Manteniamolo unito al suo ambiente, di cui porta la responsabilità. E se gli offriamo l'appoggio d'una comunità di vicinato, possa egli capire che non lo facciamo per accaparrarlo. Meglio ancora: siamo disinteressati. Abbiamo un neofita pieno di zelo, che conosce bene la massa: perchè non mandarlo dove potrà rendere di più, alla Missione di Parigi, per esempio? Cerchiamo di avere un po' di spirito cattolico. Che se poi vogliamo tenere per noi questi potenti fattori d'apostolato, sappiamo almeno non spezzare loro le ali. Essi hanno dei cumuli di valori da portarci: vedono con occhi nuovi, ascoltano con orecchie vergini. Ispiriamoci alle loro reazioni: esse ci faranno spesso scoprire bisogni e mezzi ai quali non avevamo pensato. Lasciamoli agire a modo loro, senza avere l'assillo di «ecclesiasticizzarli». Andranno forse un po' lontano, ricorreranno talora a mezzi audaci, che noi non avremmo previsti. Saremo spesso sorpresi per i risultati che otterranno: acquisteremo per opera loro i migliori militanti e specialmente attraverso loro potremo fare molto apostolato diretto. È lì il loro dominio, quello dove devono portare la loro spontanea testimonianza. Ci aiuteranno a vivificare l'ambiente parrocchiale.

Che importa se al loro attrito certe vetustà si consumano e crollano? Per mezzo loro potremo ringiovanire la parrocchia e le daremo uno spirito nuovo.

In ogni caso, possiamo ben dire che da noi quelli che fanno un bene maggiore, che meglio seguono la parrocchia, che le danno il suo spirito, sono quelli di cui portiamo la storia religiosa nella nostra memoria. Nello stesso tempo essi sono stati convertiti dalla comunità missionaria e ci hanno aiutati a stabilizzarla.

Al disopra di tutte le difficoltà particolari e di tutti i mezzi speciali d'agganciamento, è chiaro che l'insieme della parrocchia, l'atmosfera che vi si respira devono essere accoglienti. Bisogna che, penetrando in chiesa, il convertito vi si trovi in casa propria, possa partecipare alle cerimonie e capirle, scoprirvi e sentirvi profondamente un'anima comune. Così sarà attaccato, e così soprattutto risolveremo il problema delle novantanove pecorelle e della centesima.

Invece d'abbandonare le fedeli per l'infedele, ci si servirà delle novantanove per raccogliere, riscaldare e conservare la centesima, venuta dagli scoscendimenti della montagna

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