Un ostacolo da sopprimere:
“RUMORE Dl DENARO ATTORNO ALL'ALTARE „
Qual' è il principale ostacolo che dovete superare per far accettare la religione nell'ambiente popolare?
Senza alcun dubbio, la convinzione che la religione sia un affare di denaro. Nei nostri corsi di apologetica, noi ci esercitiamo a studiare obbiezioni che imbarazzano certamente alcuni spiriti e che bisogna saper confutare. Non ci fermiamo affatto, se non per guardarla con aria di superiorità ed alzando le spalle, dinanzi a questa critica, che tuttavia è la più virulenta fra quelle che corrono nell'ambiente popolare:
— I preti sono uomini che cercano denaro: la religione, nelle loro mani, è un «affare» come un altro...
È opportuno sollevare questa questione in un libro destinato al gran pubblico?
Noi riteniamo che sia necessario trattarla: perchè siamo sicuri che, se questo libro cadrà sotto gli occhi dei laici, essi ne ricorderanno una sola cosa, che cioè noi desideriamo cambiare ciò che è, ciò che giustamente li urta. Ben lungi dall'essere per essi uno scandalo, questi discorsi saranno loro di sollievo. Per chi li prendiamo? Hanno occhi per vedere, orecchie per sentire: le poche citazioni che faremo lo proveranno largamente!... Essi sanno quel che succede: ne soffrono in silenzio, perchè credono che noi non ce ne rendiamo conto o non vogliamo vedere, e il rispetto li trattiene dal parlare. Leggendoci, non diranno già «Vedete»?; sappiamo benissimo che esclameranno «Finalmente». Sì, diranno:
— Finalmente il clero capisce come noi, è angosciato come noi: finalmente ci sarà forse qualche cosa di mutato! Quella greve cappa che ci pesava addosso, e che tanto più pesava in quanto i preti non parevano sentirla, grava su di loro come su noi. Ed ecco che i preti si preoccupano di quell'obbiezione così forte contro cui cozzavamo in tutti i nostri ambienti di vita ed alla quale credevamo sorde le orecchie sacerdotali!
Ogni volta che abbiamo anche solamente abbozzato il problema davanti a laici, abbiamo visto una luce nel loro sguardo, abbiamo sentito come un peso greve che cadeva dalle loro spalle... Ben lontani dal volere che questi discorsi possano servire da trampolino per attaccare la Chiesa (e d'altra parte, chi non può servirsene, quando si è in mala fede?), siamo convinti che certi militanti li prenderanno, li porteranno nel loro ambiente di lavoro, li leggeranno agli spiriti sinceri, dicendo:
— La prova che il sacerdozio non è un mestiere sta nel fatto che i parroci vogliono cambiare le cose e cercano essi stessi di sopprimere certe fonti delle loro entrate, per un miglior rendimento spirituale!
Credete però che l'obbiezione sia seria? La gente dice che per noi la religione è un affare di denaro; ma non ci crede! È una delle solite chiacchiere!
Ed invece si tratta di quanto può esservi di più serio: la convinzione generale è assoluta. Io, prete, che non ho risposto all'appello di Dio per farmi una posizione, so benissimo che, se avessi voluto una sistemazione lucrativa, avrei potuto trovare qualche cosa di molto migliore! Le persone ben informate lo sanno anch'esse; sanno pure che il denaro ricevuto da noi non è destinato ad arricchirci, ma a passare attraverso le nostre mani per servire al culto di Dio e all'apostolato. Ma le persone ben informate non sono numerose: e noi le supponiamo ancora benevole e per di più iniziate ai misteri del nostro bilancio. In realtà (ne parliamo con cognizione di causa!) non ci si può immaginare sino a qual punto il pregiudizio popolare sia tenace su questo punto ed intralci il nostro lavoro missionario. Per l'operaio, noi esercitiamo un mestiere, verosimilmente fruttuoso: non siamo ai suoi occhi i propagandisti di un'idea, ma gli impiegati e i beneficiari di un'amministrazione. Se per caso il sentimento religioso lo lavora, non lo conduce sino in chiesa, perchè lungo la strada si inciampa nel denaro. Un giorno o l'altro, gli si presentano o l'idea religiosa o il fatto religioso: anche se non è stato istruito al catechismo o in famiglia, non può non incontrare da qualche parte dei cattolici, non vedere le nostre chiese, non sapere che i preti esistono e parlano dell'al di là. Un giorno o l'altro, chiede a sé stesso:
— Come mai i preti, gente istruita, insegnano tali cose, vi credono, vi consacrano la vita?
L'argomento d'autorità andrebbe tosto a favore della religione; ma subito rispondono alla sua domanda la voce dei compagni e ciò che loro stessi ricordano d'aver visto:
— È il loro mestiere. Tutto quell'insieme è ben trovato, ben costrutto, saggiamente organizzato, abilmente presentato per creare, alle spalle della credulità popolare, una fonte di rendita.
E noi sappiamo come i caporioni del mondo operaio, quelli in cui esso ripone la sua fiducia, sanno orchestrare meravigliosamente questo giudizio! Non occorre chiacchierare a lungo con un militante o con una suora che frequentino i poveri, per sentirli che la grossa obbiezione è quella del denaro.
Noi esitiamo a dare dati di fatto che dimostrino come tale obbiezione sia radicata nell'animo popolare: la cosa è troppo comune e a qualunque confratello riuscirebbe facile citare riflessioni da lui udite. Tuttavia, ne parleremo un poco. Quante volte, nel corso delle nostre missioni di quartiere e nelle nostre visite a domicilio, abbiamo incontrato questo ostacolo! Mi vedo ancora suonare al cancello d'un giardinetto, aspettando che la porta si apra e mi lasci indovinare con chi avrò da fare. Chi troverò? Quale anima? E in quale stato? Appare una donna. Non mi lascia neppure il tempo di salutarla, non cerca affatto di sapere perchè sono lì; mi urla:
— Sono già passati ieri: ho già dato.
I passanti hanno sentito: io vorrei essere cento chilometri lontano. Penso:
— Povero il mio lavoro missionario! Eccolo giudicato così, e così travestito: porto Cristo e mi si risponde «denaro». Trangugio però la mia umiliazione e rido forte, quanto più mi è possibile, gridando:
— Ma, signora, io non vengo per questo: non si tratta di denaro.
La donna si decide a farmi entrare e subito l'atmosfera si trasforma. Essa mi confessa la sua negligenza verso Dio e mi promette di venire in chiesa in una delle sere di missione. Ma quando sto per andarmene, non ha ancora capito completamente: la vedo frugare in un cassetto e tirar fuori dieci lire. Me le porge.
— Prendete: sono per i vostri poveri.
— Ma no, signora: vi garantisco che non sono venuto per questo. «I vostri poveri»? Di poveri, ne conoscete come me, meglio di me che vado spesso in carrozza. Dategliene direttamente: sarà meglio.
E sento ancora quella povera donna trasecolata:
— Ah, bene, bene! Vi prometto che verrò alla vostra missione... Ci verrò davvero...
Di gente che fruga nel portamonete o nel cassetto prima che noi andiamo via, ne troviamo tutti i giorni. Ricordo quella coppia di vecchietti che mi accolsero gentilmente, ma con una timidezza piena di timore. A poco a poco il ghiaccio si fuse: mi confessarono entrambi candidamente di aver trascurato il servizio di Dio.
— Sapete com'è... non sempre c'è tempo...
Mi parlarono del loro paese, della loro infanzia:
— Non siamo stati allevati così, però...
Feci loro capire che si presentava l'occasione di riavvicinarsi al Signore. Li invitai alle feste che «li avrebbero interessati», che avrebbero loro «ricordato il vecchio buon tempo». Mi parve di vedere i loro occhi scambiarsi un'occhiata d'intesa e di desiderio. Ad un tratto il pover'uomo arrischiò:
— Sì, sì... ma, signor curato, chissà quanto costa!...
E la vecchietta completò il pensiero e le parole di lui:
— Vedete... non siamo ricchi, noi... viviamo d'una piccola rendita...
Spiegai loro che non si trattava di questua, di posti a pagamento, e che non avrebbero neppure dovuto vestirsi in pompa magna. Vidi allora i due vecchietti contenti come bambini all'idea di poter venire in chiesa «senza pagare un soldo».
Come mai questo pregiudizio è così radicato nell'anima del popolo?
Dio mio! mettetevi nei panni d'un operaio. Credete che nei suoi rari contatti con la Chiesa e col prete possa essere colpito dall'evidenza che la religione non ha niente di comune. con un'impresa finanziaria? Nasce in casa sua un figlio: secondo l'usanza di famiglia, lo si porta in chiesa per farlo battezzare. Certo, il battesimo viene amministrato gratuitamente; ma si farebbe brutta figura, se non si desse una «mancia». E poi, tutti sanno che — almeno in provincia — vi sono accessori (le campane, per esempio) dove già si accusa la differenza fra chi paga e chi non paga... II bambino cresce. Farà la Comunione solenne: certo, il catechismo gli è stato dato gratuitamente: ma viene il «gran giorno», che agli occhi del popolo è una giornata di grandi profitti per il parroco. Ci sono i posti dati a nolo, c'è il cero che non viene acceso e che servirà ad altri nel prossimo anno, ma che si paga ugualmente. È un'offerta per il culto, il parroco non trattiene niente per sè: sì, è vero... ma sono sottili distinzioni che non appaiono agli occhi dei semplici. Si aggiunga l'usanza del regalo che è conveniente fare al prete da cui il bambino ha ricevuto l'istruzione religiosa: senza contare poi la questua «raccomandata in modo speciale», che caratterizza ogni nostra cerimonia.
— Perchè in un giorno di gioia come quello si chiede un prezzo speciale per le sedie? ci scrive una nostra militante. Io so d'una bambina che, nel giorno della Prima Comunione, è stata privata della presenza del padre, perchè (non volendo sacrificare certi parenti suscettibili e pronti ad offendersi, nè potendo permettersi il lusso di pagare molte seggiole) egli ha ceduto il suo posto. E il cero? Perchè farlo pagare, dato che serve soltanto alla parata della sfilata?
Eppure, lì non c'è nessuna distinzione di classi.
Per fortuna! Ma ecco che il nostro operaio ritorna per il suo matrimonio, e che per caso ha già dato un'occhiata ad altri matrimoni. Da quel momento inizia l'odiosa distinzione di classe.
Organi, tappeti, addobbi rossi, la guardia impennacchiata, discorsi, poltrone, luminarie, altar maggiore: si sposa un ricco! Il denaro scorre a palate: il signor parroco deve pur fregarsi le mani...
Niente pompa, niente musica, niente addobbi, niente sedie: l'altar minore, il piccolo trambusto della chiesa, che continua intorno a pochissimi intervenuti. E lui che si sposa! Il contrasto è duro.
Se possiede un po' di denaro, l'operaio cercherà «di far bene le cose» e discuterà sui prezzi per conciliarli con le sue disponibilità. Andrà via con la convinzione ancor più radicata che tutto si paga, in chiesa come altrove. Provatevi dunque a spiegargli che il sacramento è il medesimo, che conta solo questa realtà, che tutto il resto è vanità! Ma se tutto questo resto è proprio vanità, perchè vi ci prestate? Se ripetete dal pulpito le maledizioni del Salvatore contro la ricchezza, perchè la onorate nel Suo tempio? Come si può pretendere che il popolo ci creda, che creda alla nostra parola («Beati i poveri!»), che creda al nostro disinteresse? Potremo spiegargli tutto ciò che vorremo:
— Gli esempi viventi hanno un'altra potenza.
E noi ben sappiamo che non ci arricchiamo con quei magri proventi, e che un tal mezzo di fare fortuna provocherebbe le risate dei maligni, o almeno i loro sorrisi di compatimento. Rimane nondimeno quel rumore di denaro intorno all'altare, quell'ineguaglianza fra poveri e ricchi proprio ai piedi dell'altare, ineguaglianza che copre la voce di Cristo e vela il Suo esempio.
Questa ineguaglianza si ritrova anche davanti alla morte?
Purtroppo! E lì più che mai essa urta il mondo popolare nel suo istintivo bisogno di eguaglianza: un istinto notatelo bene — che non sbaglia allorché si tratta dell'eguaglianza degli uomini dinanzi a Dio e che perciò dovrebbe essere soddisfatto nella casa di Dio.
Ci diceva una volta una giocista:
— Ho spesso sentito esclamare nei laboratori: «Eh, sì! Ai parroci piace il denaro!» … Ciò che maggiormente disgusta le mie compagne è il prezzo obbligatorio e diverso d'una messa di sepoltura. I poveri hanno diritto ad una semplice benedizione, mentre altri lo hanno al valore d'una messa. So bene che la messa è compresa nella «classe» stabilita dalle Pompe Funebri; ma perchè i parroci non stabiliscono un prezzo uniforme per la massa, tanto per i poveri come per gli agiati? o perchè non lasciano che i poveri diano quel che possono, assicurando sempre una messa ai loro defunti?
Questa lagnanza e questa richiesta sono giuste. Noi non siamo stati capaci di evitare di diventare come una succursale delle Pompe Funebri, ed abbandoniamo ad un'amministrazione profana la cura di presentare alle famiglie l'organizzazione e le tariffe del culto (del nostro culto, del culto cristiano), persino in chiesa, persino quando si tratta della messa (tre preti o uno solo, dei cantori o niente cantori, ecc...) secondo la somma che uno può sborsare. Più sensibile che da qualunque altra parte è qui la differenza fra il ricco e il povero, e il popolo non ce la perdona.
Notate che esso la considera come acquisita, quasi normale, un fatto che succede e non si può cambiare; anche lì come altrove il ricco è privilegiato: la cosa è regolare e niente vi è da dire. Ma appunto per questo è tragica. È infatti tragico che la religione di Cristo sia assimilata alle imprese di questo mondo, dove il denaro opera le distinzioni sociali. Nella profonda realtà essa non lo è: sia pure! Iddio ha pietà sia dell'anima del povero a cui si è data solo l'assoluzione, come di quella del ricco per il quale si canta una messa solenne. È vero! Egli applica come vuole i meriti di Cristo sacrificato, tenendo conto dei cuori e non delle sostanze. Lo sappiamo e lo diciamo.
Ma questo non si vede attraverso i segni esteriori che sono nelle nostre mani e di cui facciamo un uso ingannatore: e il popolo accoglie nella sua mente soltanto ciò che vede e che sente.
Insomma, per lo più non si tratta che di pompe esteriori. Non è giusto che quell'apparato sia pagato da chi lo desidera?
È perfettamente giusto e ragionevole che lo spiegamento delle pompe esteriori sia pagato, perchè costa. E voi potreste farmi notare anche questa ragione che molti adducono:
— L'operaio può pagare: non pagherà, per esempio, il banchetto di nozze, che gli costerà venti volte più che la cerimonia in chiesa?
Ma noi esaminiamo la questione non dal lato della giustizia, bensì da quello dell'apostolato e dell'apostolato missionario. Ciò che è giusto non è necessariamente opportuno: non è neppure necessariamente buono. Sarebbe buono dare al mondo lo scandalo che diede Cristo, povero in mezzo ai poveri e disposto ad accordare. la sua predilezione ai poveri. Noi diamo lo scandalo opposto, non con la nostra ricchezza personale, ma con le apparenze di un favore accordato al denaro.
Tutti sanno che «tutto si paga» ...
Appunto per questo dovremmo dare lo scandalo di qualche cosa che non si paga. In un'epoca in cui, infatti, si paga tutto, e con l'abitudine della «mancia» si è degradata persino la nozione del servizio spontaneo, è da noi che si dovrebbe ritrovare la gratuità. L'operaio ha perso l'abitudine di credere al disinteresse altrui: talora lo considererebbe persino una debolezza da parte sua; ma quando lo incontra sul serio, quando ha la prova che esso esiste, gli accade d'esserne commosso sino all'intenerimento. Dal punto di vista apostolico è certamente pernicioso che il prete si sistemi in una vita personale borghese; ma è ancor più grave lasciare che nel sentimento popolare prenda radice l'idea che «tutto si paga» nelle cose religiose, come nel resto. L'operaio non ammette che noi viviamo più comodamente di lui; ma ancor meno capisce questa materializzazione, questo mercimonio del più alto «servizio» che vi sia (egli lo capisce, anche se confusamente): il servizio di Dio.
O meglio, crede di capire perfettamente: non si tratta d'un servizio, ma d'un mestiere. E se per caso esiste al di sopra di noi qualche cosa che chiama il sentimento religioso, non si può raggiungere questo sentimento per mezzo di chi lo sfrutta. Così pensano anche coloro che in pratica si conformano a certe tradizioni religiose. Poniamo il caso d'un prete che non possa accedere al capezzale d'un moribondo; i familiari lo licenziano con queste parole:
— State tranquillo, signor parroco: lo faremo seppellire da voi...
Che cosa significa? Questo:
— Non offendetevi: rimarremo vostri clienti. Avrete il vostro denaro (non siete venuto per questo?): quanto al resto, non abbiamo bisogno di voi.
Propendereste dunque a sopprimere le questue e il pagamento delle sedie?
Confessiamo che il pregiudizio popolare secondo il quale noi siamo ricchi non rimane scosso nella mente d'un operaio che assista a qualche cerimonia in una nostra chiesa. C'è la questua, e spesso anche le questue, che cominciano al Credo e continuano sino alla Comunione, con accompagnamento dello svizzero che batte l'alabarda ed annuncia a voce alta lo scopo a cui sono destinate. Ci sono quei preti mobilitati per fare la questua, anziché orientati coi fedeli verso l'altare. C'è stato in precedenza un sermone, durante il quale «i bisogni delle opere» sono stati lungamente enumerati, con incalzanti inviti alla generosità, con ringraziamenti suntuosi e adulatori.
Un giovane operaio, tormentato dalla questione religiosa, entrò per caso un giorno in chiesa.
Cominciava la messa: il parroco la spiegava. All'Offertorio, egli annunciò:
— Ecco il momento importante della messa.
Benissimo: ma purtroppo, proprio in quel momento lo svizzero picchiò sul pavimento e come se facesse eco all'annuncio del parroco, gridò:
— Per le spese del culto!...
Semplice coincidenza, naturalmente; ma il giovane operaio se ne andò esclamando:
— Me l'avevano detto!
E non si convertì certo in quel giorno!...
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In un pomeriggio domenicale passavo vicino ad un celebre santuario parigino in compagnia d'un amico indifferente in un campo religioso. Guardando la chiesa, egli rievocò ad un tratto ricordi d'altri tempi: i pellegrinaggi di sua madre ad ogni suo viaggio a Parigi, la preghiera che precedeva ogni esame... Io dissi allora:
— Entriamo un momentino. Volete? Vi sentirete più giovane.
Quel ringiovanimento consisteva nel rivivere un'infanzia religiosa, un'educazione cristiana: ridestare pensieri dimenticati, che lasciano il cuore commosso... Eravamo appena entrati e ci dirigevamo verso il chiarore dei ceri, quando uno sbarramento di sedie ci fermò e una voce bisbigliò:
— Dieci soldi!
— Ma no! dissi io macchinalmente. — Noi non ci fermiamo.
— Non importa — sussurrò la voce, che si era fatta aggressiva. — Sono dieci soldi ugualmente: qui non si entra senza pagare.
A due passi di distanza, un vecchio prete sonnolento. leggeva placidamente il suo breviario.
— Vi prego, usciamo — scattò il mio compagno a voce quasi alta. — Questo commercio è infame: sempre la stessa storia!
«Sempre la stessa storia!»: terribili parole, che contengono una terribile condanna. Quante anime di buona volontà sono respinte da questi piccoli scandali, che fanno loro identificare la religione cristiana col traffico dei Mercanti del Tempio, quei Mercanti del Tempio che Cristo scacciò a frustate!
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Recentemente, una domenica, nella chiesa di... a Parigi sfilavano quattro questuanti. Preceduti da svizzeri, davano l'impressione d'una processione che non finisse più. C'erano un vicecurato. una signora d'opere. un membro della Confraternita di San Vincenzo de' Paoli e la solita seggiolaia. Tutta la predica aveva trattato delle attività dei Vincenziani e della necessità di coadiuvarli. Certo, se c'è uno sforzo degno di rispetto, è proprio quello! Ma di domenica in domenica ci si parla anche delle scuole all'aperto, delle colonie estive, delle missioni, dei seminari, delle chiese di sobborgo, della Santa Infanzia, dell'obolo di San Pietro, ecc... E il pulpito domenicale, a fine d'anno, avrà costituito un insieme frammentario, sconnesso, che lascerà nella mente solo l'idea generica che, 48 volte su 52, «il parroco ha cercato denari». È naturale che vi sia la questua: tutte quelle opere meritano d'essere sostenute; ma basterebbe una parola, prima o dopo la predica: questa dovrebbe trattare le cose di Dio, e basta!
C'è la seggiolaia, che bisbiglia e discute mentre dà il resto della moneta. L'uomo del popolo non andrà a mettersi nei «buoni posti»; buon per lui! correrebbe il rischio, dopo cinque minuti, di sentirsi dire che quel posto era preso e che deve cercarsene un altro... e non ci capirebbe niente: nella casa di Dio ci sono, come altrove, posti riservati ai fedeli titolari, beati possidentes! non è più una comunità di gente che prega, ma un teatro, dove la gente del passeggiatoio non deve dar noia ai frequentatori dell'orchestra! L'abitudine è così inveterata, che troviamo ciò naturale. E i nostri impiegati della chiesa sono talmente avvezzi a vedere nei «buoni posti» solo la gente «per bene» che reagiscono spontaneamente («come cani da guardia») quando per caso qualche disgraziato si fuorvia in quei posti.
La nostra chiesa fu dapprima una cappella di soccorso, situata presso l'ospizio dipartimentale di Nanterre. Accoglieva un certo numero di bravi vecchi vestiti di quell'uniforme di stoffa blu che tutti i parrocchiani conoscono. Dal 1940, essi hanno una loro cappella e quindi non vengono più nella nostra chiesa. Ma io vedo ancora il viso sfrontato del nostro vecchio sagrestano, che si riteneva in obbligo di spingerli in fondo alla chiesa: quel viso diventò un punto interrogativo, quando io ordinai di lasciare quei vecchi nel posto che si sceglievano.
Ci è anche stato riferito questo fatto. In una parrocchia, nel giorno della prima Comunione, una famiglia aveva affittato dieci posti, di cui tre rimasero non occupati. Durante la messa, arrivò un vecchietto che si diresse da quella parte. Subito lo scaccino accorse per mandarlo via; ma diventò deferente, quando la famiglia offrì il posto al vecchio. La gente intorno si scandalizzò: — Dove siamo? in chiesa, o a teatro?
Ed è terribile che ci si debba fare questa domanda!...
E qui bisogna anche stigmatizzare la pratica — così corrente a Parigi, come in certe città di provincia — di affittare ad un prezzo eccezionale i posti della messa di mezzanotte: da 5 a 10 lire, e persino a 50 in certe chiese, con affissi di programma musicale fin nella ferrovia sotterranea! E i fedeli che non li affittano si sistemano come possono, fuori dalla navata centrale, debitamente separati da un cordone protettore!...
Ma bisogna pur pagare gli artisti!
Naturalmente: ma perché chiamare degli artisti? Non basterebbe il popolo fedele ad assicurare la lode di Dio? Pazienza finchè si tratta del canto della messa! ma anche per questa veglia, che comincia alle 22,30 o alle 23, e che troviamo così perfettamente a posto prima della messa!... E' bello che i fedeli desiderino, prima della messa di mezzanotte, rallegrarsi religiosamente con musica e canti; ma è necessario per questo metter su un'«Opera»? Sapete già come abbiamo risolto la questione: l'abbiamo detto parlando della liturgia. In ogni parrocchia ci sono giovani, ragazze, bambini, scouts, i quali non chiederebbero di meglio che organizzare questa veglia, ed ai quali si potrebbe associare l'intera folla: se non per cori parlati come da noi, almeno per canti popolari, così numerosi e conosciuti. Noi non siamo contro gli artisti ed ammettiamo che si tengano in certe chiese «concerti spirituali», dove la musica religiosa può essere ambientata meglio che in una sala profana: ammettiamo che gli artisti siano retribuiti e che in tali circostanze gli spettatori paghino il posto. Ma allora, si organizzino quei concerti al di fuori d'ogni cerimonia religiosa, in modo da fare una netta distinzione fra una comunità che prega e un pubblico che ascolta. E non si scelgano proprio le nostre feste più popolari, il mistero gaudioso della santa povertà, per introdurli nel tempio, presso la stalla dove i pastori non hanno dovuto affittare il posto, perchè vi erano in casa loro!
Come mai non ci rendiamo conto della deplorevole impressione che produce nel popolo la presenza permanente del denaro nelle cose di Dio? Poichè in realtà lo si incontra ad ogni passo. Ricordate quel che dice Péguy nel suo studio sull'esame di coscienza:
— Non si prende continuamente l'acqua benedetta... e la chiesa non è unicamente composta di acquasantiere!
Per certe chiese, ci si domanda se non sono composte soltanto di cassette da elemosina!... E le ingegnose candele elettriche, che ricambiano automaticamente in luce ciò che si fornisce loro in moneta... E le dispense (es. dalle pubblicazioni...) gratuite certo per gli indigenti, ma per le quali si pone, malgrado tutto, l'inevitabile questione del denaro... Quanto denaro, mio Dio! quanto denaro!... Noi siamo pignoli su certi punti di rubriche, sfogliamo con inquietudine i nostri libri per risolvere certi casi dubbi, e non ci chiediamo neppure se le nostre abitudini non sono in contraddizione con le nostre intenzioni apostoliche. Scriviamo volentieri a Roma per chiedere se si può permettere agli scouts di fare l'offerta delle ostie al momento dell'Offertorio; ma troviamo naturale che s'interrompa il Santo Sacrificio nei matrimoni, nelle sepolture, come si fa in certe città di provincia, nel giorno della Comunione solenne, per permettere agli astanti di portare in processione la loro offerta. C'è chi si stupisce che noi organizziamo feste missionarie dove i fedeli rappresentano una parte nella chiesa stessa; non ci si preoccupa però del fatto che le damigelle d'onore, in pompa magna, si sparpaglino con le borse e coi cavalieri durante quasi tutta una messa di nozze. Ci sono evidentemente alcuni passi del Vangelo che dovremmo rileggere di quando in quando! (cfr. Matt. 15,23).
Confessiamo che è difficile ad un operaio cristiano rispondere, quando i compagni gli dicono che noi esercitiamo un mestiere come un altro, che abusiamo della credulità popolare per «far denaro», che tutte le nostre cerimonie, le nostre prediche, e via dicendo, rappresentano un abile «imbottimento di cervello» che permette ai preti di farsi mantenere da chi ci crede!...
Volgendo al meglio le cose, essi vedono nella Chiesa una potenza morale ben organizzata finanziariamente («una strana organizzazione», dicono in tono quasi ammirativo), ma niente affatto quella la cui missione è di portare la parola e la vita di Cristo per la salvezza del mondo. Come volete che vengano a noi come ad inviati di Dio?
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