UNA COMUNITÀ CHE FACCIA COLPO

 

Voi conoscete l'opuscoletto di Padre Beirnaert: «Per un cristianesimo che faccia colpo». L'espressione ha avuto fortuna. Siete d'accordo con lui?

L'espressione vale quel che vale: a certuni non piace. Poco ci importa: a noi interessa l'idea, la quale ci sembra giusta, giustissima anzi. Essa si riassume così: il nostro cristianesimo (sul piano dove siamo noi è l'ambiente parrocchiale) non stupisce più nessuno: non provoca nè scandalo nè ammirazione nè invidia in coloro che non lo professano. È classificato (come una faccenda che ha cessato d'interessare gli uffici è registrata nel suo incartamento con tanto di cartellino) dietro incartamenti d'attualità più scottante. Se ne parla, sì, sui giornali e nelle conversazioni, ma non sul piano della vita: solo sul piano culturale ed amministrativo, per commentare cerimonie od atti ufficiali. Fa parte dell'ordine stabilito. È seduto, come un magistrato od un professore. Non origina più nessun problema per l'immensa massa dei nostri ambienti popolari (2).


(2) «Una civiltà diventa cristiana quando il messaggio cristiano vi diventa «pericoloso quando ritrova il suo potere di lievito che fa fermentare la pasta, la sua forza modellatrice ed organizzatrice, al punto tale che tutti debbano occuparsi di esso e che gli uomini in piazza comincino ad essere preoccupati e a dirsi: «La nostra civiltà sta per cadere: quegli uomini sono pericolosi».
Attualmente il cristianesimo non è più «pericoloso»: ha soltanto più una posizione di conservazione e di difesa. Nessuno si preoccupa del «virus» cattolico, come ci si potrebbe preoccupare del virus comunista. La nostra civiltà francese è penetrata di cristianesimo, ma sta abbandonandosi e voltandosi adagio verso il paganesimo. Bisogna che i cristiani diano scandalo, adottando atteggiamenti cristiani» (Da una conferenza del Padre gesuita d'Ouince).


Perchè? Perchè alla gente vengono presentati i problemi non attraverso i riti, ma attraverso la vita, e il nostro cristia­nesimo appare come un ritualismo• che non muta la vita di chi lo pratica: perchè i problemi sono presentati alle masse non attraverso la vita di qualche individuo che esse igno­rano, ma attraverso quella di comunità dinamiche; e perchè queste comunità mancano generalmente presso di noi.

Qualcuno dirà che la vita delle persone che formano il nostro ambiente parrocchiale impressiona in qualche modo coloro che le circondano... Niente affatto! Che cosa si può notare in esse? che vanno a messa alla domenica, ed anche a qualche funzione. Ma come agiscono nella vita di tutti i giorni? Si nota e si sottolinea la condotta di certi cristiani esemplari e la nostra gente, anche la più lontana dalla religione, sa ben dire:

— Ah! quello è proprio un vero cristiano. Se tutti gli altri gli somigliassero!

Ma di fronte a noi troviamo sempre la stessa obbiezione:

— I cristiani non sono migliori degli altri.

Sappiamo quel che essa vale ed il partito preso che la detta e che fa paragonare i peggiori di noi ai migliori degli altri. Tuttavia, è anche vero che i cristiani, in blocco, non spiccano sull'insieme dei non cristiani... Un tale è praticante: se ne potrà dedurre che è assolutamente coscienzioso negli affari e che tratterà gli interessi altrui come i suoi? Si può battere alla sua porta con la certezza d'essere accolti come fratelli? Si vedono i cristiani innamorati più che gli altri della giustizia? Si potrebbe, per esempio, fissare i limiti del mercato nero nei limiti della comunità cristiana? Guardando questa comunità, chi la circonda può avere voglia di farne parte? Da questa comunità partono come fiamme d'incendio capaci di bruciare il mondo?

Questi uomini e queste donne lasciano capire d'essere impazienti di far conoscere quel Cristo che portano in sè? Dov'è lo spirito di fede che c'è nei loro propositi? Non li udiamo troppo spesso dichiarare che la religione è un affare

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personale, e non li vediamo abbassare per primi la bandiera davanti a chi li attacca?... No: in verità i cristiani lasciano gli altri in santa pace. Non fanno «colpo»: nessuno nel quartiere si cura di essi come tali.

È dunque colpa dei cristiani, se vi è un regresso di cristianesimo. Tutti lo affermano. Ma in qual modo la parrocchia c'entra?

Sì, la colpa è dei cristiani, che non traggono bastante profitto dai nostri insegnamenti; ma ancor più è colpa di noi preti, che ci accontentiamo di mantenerli nel loro ritualismo, invece di dar loro il fuoco sacro della Pentecoste, come fecero i primi Apostoli. Noi non siamo abbastanza esigenti: non però nel senso che non siamo abbastanza severi per le debolezze individuali. Pensiamo invece che verso l'individuo bisogna usare misericordia: Cristo ce ne ha dato l'esempio a sufficienza! Vogliamo dire che non siamo abbastanza esigenti «verso la comunità». Ci accontentiamo d'un ambiente parrocchiale in esercizio di culto, senza creare una comunità vivente. Accettiamo (e desideriamo anche) che il nome di cristiano sia portato da chiunque, pensando che, più ve ne saranno, meglio sarà: non ci occupiamo di presentare all'ambiente di quel mondo pagano, comunità esemplari ed irradianti. Amministriamo i sacramenti: non ispiriamo al popolo, come popolo, una vita sacramentale. Ci capita — talora indebitamente — di presentare il cristianesimo come un «partito» di fronte al comunismo o al nazismo; ma poi ci fermiamo lì, e non creiamo, di fronte a quei pericolosi dinamismi, un dinamismo più entusiasta ancora. L'entusiasmo... «En Theos»: un Dio in noi!... Dov'è questo fuoco sacro? II popolo non lo vede e nel suo crudo linguaggio giudica che «è tutta una finzione» ...

Donde deriva ciò?

Oh! è semplicissimo: non è troppo difficile essere cristiani. Pensate: un po' di acqua sulla fronte e qualche granellino di sale in bocca, una festa in famiglia (pagana

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come le altre) offerta dai genitori, ed un bambino autenticato cristiano. Dopo alcuni anni, la cosa si complica alquanto. Si esigono due o tre anni di catechismo; ma trattandosi di bambini e d'occupazioni infantili, si può benissimo, in fin de conti, imporre loro tutto ciò, per permettere ancor una volta alla famiglia di riunirsi, di banchettare, d'ammirare da capo a piedi il fanciullo. In quel giorno vi sarà una bella cerimonia con fiori, musica ed anche una bella predica, a cui però non si ha l'obbligo di credere e che si tollera solo perchè si è in casa del parroco, il quale fa il suo mestiere (e lo fa anche bene, quando parla degli assenti, facendo piangere tutti). Ma, ve lo ripeto, è solo questione d'apparato e per una volta tanto... Dopo, c'è il matrimonio in chiesa. Ancora qualche parola, qualche rito che non impegnano a grandi cose, poichè si tratta appena di andare dal curato, di farsi iscrivere e... di pagare. Passato quel giorno, si rimarrà tranquilli e si vivrà come sempre. Al momento di morire, si passerà ugualmente per la chiesa; ci saranno altri gesti, altre parole, altri apparati: con questo, si potrà dichiarare:
— Io sono cristiano... In casa siamo tutti cristiani... Io sono stato battezzato ed ho fatto la Prima Comunione... Anche i miei figli l'hanno fatta... ecc.

Il seguito lo conoscete già. Ebbene, è questo il cristianesimo, la religione che ha rivoluzionato il mondo? La nostra brava gente sente dire alla radio:
— Noi ci battiamo per la civiltà cristiana.

Come volete che — compresi per primi i nostri praticanti — capisca il significato di quelle parole? No, non farà mai un ravvicinamento fra quelle pratiche e uno sconvolgimento nella società, fra quei riti e una concezione della vita. Ecco la prova: notate lo stupore di un adulto quando viene a chiedere il battesimo per il suo matrimonio e voi gli annunciate che ci vogliono parecchi mesi per prepararvisi!

Che cosa preconizzate, per restaurare comunità che «facciano colpo»?

Qui mi permetterete di cominciare con serie «precauzioni oratorie». II nostro ministero ci costringe ogni giorno ad esaminare qualche soluzione: molti preti e molti laici capiscono con noi che vi sono riforme da realizzare, andazzi da scuotere: da ogni parte vengono emesse quantità di «perchè» e di suggestioni. Bisogna fingere d'ignorare questo lavoro mentale? tenere per sè discorsi che bruciano le labbra? Noi crediamo invece che sia bene esprimerli; ma nello stesso tempo non ignoriamo che spetta alla sola Chiesa (romana o diocesana) prendere questa o quella misura. Non siamo in grado di giudicare con vera competenza l'opportunità e la saggezza delle varie riforme. Tratteremo quindi questo tema sotto forma di punti interrogativi, dando in giro una rapida occhiata. Rispondano gli interessati e decida la Chiesa.

Se si tratta di «riforme», si tratta forse ancor più di attitudini pratiche nella condotta quotidiana della vita parrocchiale: di modo che, senza sconvolgere tutto, ma avendo l'ansia del bene della comunità da realizzare (piuttosto che quella d'individui da lusingare), si arriverebbe già a risultati apprezzabili. Ci piacerebbe che dai nostri discorsi si ritraesse uno spirito di restaurazione della comunità cristiana, più che certi dettagli su cui si potrà non essere d'accordo.

Parlavate dianzi della vita sacramentale». Suppongo che i miglioramenti che a voi sembra opportuno portare riguardino l'amministrazione dei sacramenti.

Sì: ed anzitutto il battesimo. Evidentemente, è la questione più grave: «Nessuno sarà salvo, se non crede e se non è battezzato». Bisogna dunque battezzare il più gran numero di persone? Praticamente, è quel che si fa: più bambini si possono battezzare, più si è contenti. Genitori a loro volta battezzati portano i bimbi al battesimo «perchè in famiglia usa così» : non per altro. Essi stessi non praticano la religione, nè hanno intenzione di farla praticare in seguito ai figli; ma crederebbero di mancare alle convenienze, sopprimendo questa formalità dalle loro usanze. Altri vedono in questa cerimonia solo l'occasione di fare un banchetto.

Non avete visto tutta quella gente, mentre assiste al battesimo? Gli uomini hanno già abbondantemente «innaffiato» il «neonato» (che magari ha già parecchi anni). Si sono scelti per padrino e madrina due futuri fidanzati: a meno che non siano i poveri vecchi nonni, che saranno già morti quando il bambino avrà bisogno di loro. Tutti si spingono a gomitate ed allungano il collo al momento «del sale». Si ascolta, si guarda con curiosità come il padrino se la caverà col Credo o col Pater. Tanto peggio per lui se, rosso in viso ma con memoria felice, andrà sino in fondo senza errori: la sconterà poco dopo, quando tutti rideranno della sua scienza religiosa. Solo questo dovrebbe farci ribollire il sangue e indurci a rifiutare d'essere i protagonisti di una specie di mascherata.

Per chi ci prendono, noialtri ministri di Dio? e per che cosa prendono questa immensa realtà del battesimo?

Pazienza, giovani sacerdoti! Ben altre ne vedrete e ne sentirete. Non arrabbiatevi: tutti se ne andrebbero per sempre dalla chiesa, dichiarando che i curati perdono la religione... Se siete cappellani di un ospedale di maternità a Parigi, la cosa è più semplice. Entrate nella sala e chiedete a tutte le mamme allineate nei loro letti:
— Chi vuole far battezzare il suo piccino?

Se la prima dice «Io!», probabilmente tutte le altre (o almeno la maggioranza) farà altrettanto. Se nessuna si muove, pazienza! E così là dentro, in un attimo, si giuoca la vita soprannaturale di dieci o venti bambini, che saranno o no impegnati nella vita cristiana, iscritti alla Chiesa, unicamente (è proprio il caso di dirlo) per un sì o per un no d'una mamma che non è forse la loro.

Del resto, nulla sapete della loro madre e tanto meno del padre. E quante di quelle giovani mamme sono liete di approfittare dell'occasione di cavarsela così a buon mercato, perchè il padre non saprà niente e quindi non si adirerà!
Il risultato?... Eh! la questione non è semplice.

I bambini saranno battezzati, e perciò avranno la grazia, e di conseguenza saranno salvi, se dovessero morire. È però difficile ed angoscioso aver l'aria di chiudere le porte del Paradiso a degli esserini che vi si potrebbero mandare così facilmente. Sì: ma la Chiesa? e i suoi decreti? Vogliano o non vogliano i genitori, ormai la Chiesa ha preso a suo carico quei piccoli battezzati.

Questo è tanto vero, che non si è ancora dimenticato il gesto energico di Pio IX, che — con grande scandalo universale — strappò alla famiglia ebrea il piccolo Mortara, affinchè fosse cristianamente educato negli Stati Pontifici, per il semplice fatto che era stato battezzato all'insaputa dei genitori e si trovava in pericolo di perdere la fede. Partendo da questo esempio, quanti bambini battezzati in procinto di perdere la fede dovrebbero essere strappati alle famiglie per essere educati cristianamente!... E la Chiesa lo sa così bene, da chiedere che, persino in punto di morte, si battezzino solo coloro i cui genitori sono cristiani ed esige la fede dei genitori. Infatti, si concepisce il figlio solo come un tutto coi suoi genitori: e certi teologi, riesaminando attualmente la dottrina riguardante i bambini morti senza battesimo, si domandano se la fede dei genitori non giustificherà taluni di essi.

Battezzando chiunque senza garanzia, senza impegno, si toglie al battesimo il suo carattere di aggregazione alla comunità cristiana, con tutto quello che ciò comporta d'obblighi nel campo della fede e in quello della vita.

— Nessuno sarà salvo «se non crede» e se non è battezzato.
Si lascia cadere la prima parte del precetto.
— Colui che crederà e sarà battezzato sarà salvo: colui che non crederà sarà condannato (Mc., XVI).

Le due richieste sono indissolubili. Ora, i tre quarti dei battezzati di questo mondo popolare non saranno messi in grado di fare un atto di fede: i loro genitori contraddiranno persino apertamente questa fede. Vi sono genitori che dicono:
— Non voglio far battezzare i miei figli, perchè non credo. Questo è un affare che riguarda essi: decideranno da sè, quando saranno cresciuti in età. Niente per adesso!

Di solito, questi discorsi ci scandalizzano. È certo, tuttavia, che non presentano più saggiamente il problema e non fanno maggior onore al battesimo? Ecco dei bambini che appartengono canonicamente alla Chiesa, la quale conta su di loro. È una cosa desiderabile? La pratica dei missionari non è troppo severa su questo punto e non è la ragione per cui, in quei paesi recentemente conquistati alla fede cristiana, le comunità sono ferventi, fanno «colpo» nell'ambiente pagano e determinano l'adesione della parte migliore?

La pratica della Chiesa primitiva era ben diversa dalla nostra: vi si battezzavano soltanto i figli delle famiglie veramente cristiane.

Eppure, rifiutare il battesimo a certe famiglie significa ricacciarle nel campo dei nemici della religione: la loro porta si chiuderebbe subito per molto tempo all'influenza sacerdotale.

L'obbiezione non ci riesce nuova: vale anche per tutti i discorsi di questo colloquio. Ma a questo riguardo, anzitutto non vi è più nulla da esigere su nessun punto, per paura di spiacere. Inoltre, sono ragionamenti spiccioli, secondo noi. È vero che i genitori respinti così rischiano di restar fuori dalla Chiesa: ma in compenso i figli, più tardi, messi di fronte al cristianesimo, potranno rendersi conto di ciò che li separa dai cristiani, esserne impressionati e desiderare di possedere ciò che non avranno e che sembrerà loro di maggior valore. Se questi casi non rimanessero isolati, se diventassero il fatto d'una pratica generale, le generazioni avvenire sarebbero spinte a valorizzare nella loro stima il titolo di cristiani.

Qui tocchiamo con mano che vi è differenza tra i nostri paesi d'apostasia e quelli di missione, e che non si possono mettere completamente alla pari. In un paese di missione, nulla si taglia o si spezza rifiutando il battesimo. Da noi, malgrado tutto, si rompe qualche cosa: un'abitudine familiare. Noi comprendiamo il punto delicato del problema e perciò lo presentiamo senza pretendere di risolverlo.

Ma, a parer vostro, che cosa si dovrebbe fare in pratica?

Non si tratta naturalmente di decidere da soli. Se un curato brandisse inabilmente con nessuna abilità queste teorie e tentasse di metterle in pratica, scommetteremmo che dopo poco tempo sarebbe costretto a fare le valige... Nello stato attuale delle cose, la gentilezza e il sorriso sono certo spesso il miglior modo di tendere la pertica a chi è ancora capace di prenderla. Forse è meglio non mostrarsi troppo intransigenti, ed offrire più miele che aceto. Badiamo però di non lasciar indebolire l'idea che gli altri si fanno del nostro cristianesimo, d'impedire che esso finisca per non essere più niente agli occhi di chi ci guarda ed agli occhi stessi (cosa ben più grave) di coloro che pretendono di esserne tutto, pur non essendone in realtà nulla.

Quando certi genitori ci minacciano di non far battezzare i loro figli perchè non vogliamo piegarci alle loro esigenze (perchè rifiutiamo, ad esempio, di fare la cerimonia prima di mezzogiorno o di far suonare le campane), bisogna forse cogliere l'occasione di dire apertamente:
— Signora, se ci tenete così poco al battesimo, vi consiglio di non far battezzare il vostro bambino.

Il più delle volte, del resto, tale fermezza fa cadere di colpo ogni obbiezione e capriccio: verremo supplicati di non tener conto delle parole precedenti e saranno accettate le nostre condizioni. Non avremo vinto completamente la partita, naturalmente; ma questa sarà già un'affermazione della trascendenza del battesimo.

Essa servirà certamente più dei dotti avvertimenti che si potranno dare, sia al tempo dell'iscrizione come a quello della cerimonia.

Voi li date, però...

E come no? Non sapremmo dimenticare i buoni consigli che ci danno i nostri ottimi teorici:
— Dovete avvertire i genitori degli obblighi che essi assumono.

Noi li avvertiamo, e succede persino che essi ci ascoltino (oppure no). Da noi, si fa anche firmare da essi un impegno scritto: ma quando queste formalità sono compiute, non siamo vittime d'un inganno? Sappiamo quanto valgono, nella mente della nostra gente, gli impegni presi davanti ai preti e quanto bisogna fidarsi delle buone parole di molti.

Comunque, voi sapete ciò che pensiamo dell'intenso arruolamento a cui si dedicano molte signore catechiste o certi confratelli di San Vincenzo de' Paoli, in vista d'un massimo di battesimi: a nostro avviso, ci sono compiti più urgenti per il loro apostolato. Anzitutto, conquistare i genitori, ridare loro il senso cristiano, affinchè essi stessi assicurino ai figli tutti i benefici dell'iniziazione cristiana.

A qualunque problema ci si attacchi, si arriva sempre alla medesima conclusione: bisogna riconquistare l'adulto.

Eppure, una buona percentuale di bambini vi viene affidata per il catechismo e per la Comunione solenne...

Questo non prova gran che, e soprattutto non arriva a grandi risultati. Un buon numero di famiglie che hanno fatto battezzare i figli ce li affidano infatti per la Comunione solenne. In quale proporzione? Circa l'80%... Ma qui s'impongono le stesse osservazioni di poco fa. In generale, questi bambini — i quali cominciano a vedere e a capire — non ci vengono condotti con la preoccupazione che ricevano un'educazione cristiana.

Se l'esigenza del catechismo preparatorio alla Comunione non fosse così rigida, ci si accontenterebbe benissimo della cerimonia in sé stessa, tradizionale come il battesimo e come esso occasione d'un banchetto in famiglia.
— È una cosa che si fa: io l'ho fatta e la faccio fare ai miei figli.

Ecco, il più delle volte, i ragionamenti dei genitori. E qui citeremo una delle più belle storie del nostro patrimonio parrocchiale. Ogni parrocchia dei dintorni ne ha qualcuna al suo attivo: potrebbero servire da miniature al libro della vita. Non faremo il nome del protagonista, che vive tuttora ed è uno dei più ardenti fra i nostri militanti. Lo chiameremo Totò; d'altronde, il suo autentico nome non è meno pittoresco e l'assonanza dei due è assolutamente la stessa...

Dunque, un pomeriggio in cui doveva aver luogo da noi la cerimonia della Cresima, circa un mese dopo la Comunione solenne, al momento di disporre in fila i bambini per farli entrare in chiesa, il sacerdote vide avvicinarsi a lui una mamma col figlio in tenuta da comunicando. Egli non aveva mai visto quel bambino.
— Reverendo, nel giorno della Comunione solenne, mio figlio ha perduto il rosario: non l'avreste per caso trovato?
Il prete guardò con insistenza il fanciullo, senza poterlo identificare.
— Mi dispiace, signora, ma io non conosco vostro figlio: non fa parte del mio anno di Comunione.
— Come, reverendo! È Totò... non riconoscete Totò?
— Vi garantisco di no: conosco bene tutti i miei bambini del catechismo. Questo non l'ho mai veduto.
— Eppure, reverendo, viene da due anni al catechismo.
— Non al mio certamente.
— Ma... viene per la Cresima: non l'ammetterete?
— Oh, signora! Non posso ammettere un fanciullo che vedo per la prima volta. Sono dolente, ma è impossibile. Del resto, è già l'ora: sta per arrivare Monsignore ed io devo affrettarmi a radunare i bambini. Se volete, dopo la cerimonia metteremo le cose in chiaro.
Tanto più che Totò cominciava a chinare il capo e a diventare di tutti i colori...
Finita la funzione, la mamma ritornò e un interrogatorio serrato finì per far scoprire tutta la verità.
Da due anni, Totò, invece di andare al catechismo, marinava la lezione, avendo però la precauzione di recitare alla madre qualche brano di dottrina. Nei quindici giorni precedenti alla Comunione, si fece accordare un congedo di quindici giorni, col pretesto di fare il ritiro (!!). Venne il gran giorno. Nonni, zii e zie erano venuti dalla Bretagna per la cerimonia e vi assistettero in fondo alla chiesa. (Totò aveva detto alla madre che era inutile prendere i posti: meglio mettersi come si giungeva). Uno zio credette di ravvisare il nipotino in mezzo alla sfilata e l'additò agli altri parenti. Invece in quel momento Totò vagabondava sulle rive della Senna: rientrò tardissimo. Un indizio corroborò le affermazioni del sacerdote e i dubbi nascenti della mamma. Durante la cerimonia pomeridiana, era piovuto: ora, mentre tutti erano rimasti al riparo in chiesa, Totò era rientrato tutto fradicio, cosa che aveva sorpreso la madre. Bisognò dunque arrendersi all'evidenza: Totò non aveva seguito il catechismo nè aveva fatto la Prima Comunione. Siccome i genitori non erano troppo ostili, nell'ottobre seguente entrò al catechismo del primo anno e due anni dopo fece la Prima Comunione... mentre nella vetrina del fotografo troneggiava già da due anni il suo ritratto trionfante, col bracciale a frange dorate. Totò ha però riguadagnato il tempo perduto: adesso è un bravo militante della I.O.C.

Questa storia non dimostra forse sino a qual punto le famiglie si disinteressano della sorte religiosa dei loro bambini? Totò ha potuto perdere due anni di catechismo senza che i genitori si dessero la briga di farlo iscrivere, o di verificare se frequentava le lezioni, o d'informarsi della sua condotta e del suo profitto. E dire che quella era una famiglia ancor abbastanza buona!

In un buon numero di famiglie si distrugge durante la settimana l'influenza del catechismo settimanale. Il bambino cresce in un'atmosfera di apostasia. Durante il ritiro della Prima Comunione, chi non si è chiesto con angoscia se in casa di quei bambini che stavano per ricevere Cristo c'era almeno un po' di fede? È certo che i nostri catechismi offrono ai bambini un'occasione di perseveranza, di cui parecchi profittano. È vero che certi figli di famiglie ostili sono diventati seriamente cristiani. È vero che il catechismo preparatorio è un vivaio dove si reclutano i membri delle nostre opere e del nostro ambiente parrocchiale. Ma tuttavia, se si considera il tremendo cambiamento che segue la Comunione Solenne, si è costretti a farsi delle domande.

Da un secolo, la Chiesa ha avuto nelle sue mani tutta l'infanzia e se n'è lasciata sfuggire la maggior parte. Ogni anno, nel giorno della Comunione, è la grande apostasia solenne. Fra quelli che lasciano verso sera la chiesa, quanti ritorneranno fra una settimana? fra un mese? fra un anno? Si esagera forse, dicendo che nelle nostre parrocchie popolari la percentuale dei comunicandi che dopo tre o quattro anni non si fanno più vedere è dell'80%? Ogni anno, i parroci fanno lo stesso sforzo: ogni anno sperano con lo stesso candore ed ogni anno... constatano.

È forse colpa dei catechisti?

Ce ne sono, è vero, non all'altezza del loro compito, non abbastanza istruiti, pedagoghi, attiranti. E, tra parentesi, ci chiediamo perchè non si istituirebbe — come nelle Missioni — un corpo di catechisti, numerosi, ben fondati con studi speciali, verso cui si potrebbe essere esigenti, perchè verrebbero pagati come gli assistenti sociali, militanti della fede a titolo professionale? Tutto sommato, però, i nostri catechisti, data la parte che viene loro affidata, ci dànno soddisfazione.

Bisogna forse, allora, incriminare i manuali?

Ancora una volta sì; sono troppo astratti per quell'età (e senza dubbio per ogni età). Fanno imparare a memoria un'infinità di parole che non dicono niente al bambino. Sono buone riduzioni della «Somma Teologica», ma non libri educativi, formatori. Il bambino non è adatto a quell'insegnamento scolastico, le cui nozioni non rispondono alla forma della sua intelligenza. Interrogate, un anno dopo la fine del catechismo, i fanciulli che hanno perseverato, per sapere che cosa rimane loro del bagaglio religioso che è stato loro dato: come rimarrete edificati!!!

I manuali dovrebbero insistere sulla vita, più che sulla teoria, masticare la teoria in parole di vita, come fece Nostro Signore Gesù Cristo. Dovrebbero far conoscere ed amare la persona di Cristo, poi la Sua dottrina, partendo da Lui e -seguendo la Sua maniera, invece di dispensare tesi, anche se perfettissime. Bisogna operare certe riforme «di struttura», e non soltanto qualche rimaneggiamento... Ma infine non è ancora ciò che ci sembra più importante, poichè c'è sempre l'insegnamento vivente, che è incaricato d'interpretare il manuale e di tradurlo: e in generale questo sforzo è fatto.

Allora, è colpa delle famiglie?

Naturalmente, perchè non sono cristiane. Il bambino all'età della Comunione è in balia dei genitori.

La madre, più che chiunque altro, dovrebbe essere capace d'impartirgli l'insegnamento non scolastico, l'unico che, sul piano religioso, possa arrivare alla sua psicologia infantile. Ma chi è sua madre — religiosamente parlando — nei nostri ambienti popolari? A lui che non pensa da solo, che non ha ancora una personalità, che sente più che non rifletta, che contrae abitudini più che non eserciti la propria volontà, chi dà dunque quell'impalpabile formazione da cui dipende tutta la vita? Genitori per i quali non esiste il Cristianesimo, genitori che ne conoscono solo i «curati», senza nutrire per essi eccessiva simpatia (è il meno che si possa dire) ... Come si potrebbe fare assegnamento su di essi per formare cristianamente i figli? Diciamo dunque che la colpa è delle famiglie; ma ciò sia per dire a noi stessi che nulla di serio sarà fatto in favore del bambino, finchè non avremo ridato Cristo ai genitori. Perchè il bambino possa essere utilmente cristianizzato da noi, bisogna che noi riconquistiamo gli adulti da cui egli dipende.