EXCURSUS: UNA RIUNIONE A DOMICILIO

Un prete di passaggio descrive così una riunione, alla quale assistette:

Una famiglia di operai, militanti cattolici, ha invitato alcuni parenti, vicini, ed amici, a venire a trascorrere una serata in casa sua. Tutti sono stati avvertiti che verrà il signor parroco e che si discuterà di questioni religiose. Nessuno si è fatto pregare: è così naturale andare da un amico che vi invita! X è conosciuto come un «tipo chic» e il signor curato che, ad onor del vero, non si conosce quasi, tutto sommato è simpatico.
Nel giorno fissato, tutti arrivano alla spicciolata: la stanza del pianterreno dove, per la circostanza, sono state raggruppate tutte le sedie della casa — si riempie a poco a poco. Si sta piuttosto pigiati, ma non importa: l'intimità sarà maggiore.

Arriva il signor parroco, accompagnato questa volta da un giovane sacerdote, che è venuto «per vedere». Due sottane sono molto per questo «circolo di studi» di nuovo genere; ma nessuno ne sembra eccessivamente spaventato. Si chiacchiera allegramente di varie cose: il ghiaccio è presto rotto e tutti si trovano a loro agio. Del resto, si è fra amici... Vi sono circa 25 persone: i giovani si sono messi sugli scalini della rampata che conduce al primo piano, ed il loro gruppetto è un po' agitato. Intorno al tavolo si trova una dozzina di uomini ed un'altra di donne. I più si conoscono tra loro. Niente di insolito in questa riunione, tranne la presenza del curato, che non si ha l'abitudine di vedere così da vicino: ma in realtà tutti sono venuti per ascoltare lui. Egli prende la parola. Che cosa ci dirà? Ci farà una predica?

— Amici miei, non vi stupirete certamente nell'udirmi parlare di religione, vero? È proprio per questo che siete venuti qui stasera. In fin dei conti, il prete fa la sua parte, quando parla di religione: se non lo facesse, trovereste che manca al suo dovere.
(Approvazioni molto marcate).

 Vedete, la questione religiosa è importantissima: preoccupa, più o meno, tutti e merita d'essere meditata e studiata. Ciò che vi dico è così vero, che noi preti vi abbiamo consacrato tutta la nostra esistenza. Durante la nostra vita, noi non dobbiamo occuparci d'altro che di far conoscere la religione, di parlare d'Iddio e di farlo amare. Dopo aver lungamente studiato la cosa, abbiamo pensato che essa meritava di darvisi per intero, E di sacrificarle tutto, compreso il diritto riconosciuto a tutti di fondare una famiglia con le gioie così pure e profonde che ne derivano...

L'uditorio è vivamente interessato da quella testimonianza semplice e diretta: l'atmosfera è ora apertamente simpatica. E si attacca così l'esame di alcune obbiezioni fra quelle più correnti dell'ambiente popolare.
— Si sente spesso dire che il sacerdozio è un mestiere come un altro, che la Chiesa è una questione di denaro, che i preti sono agenti incaricati di riempire il più possibile le casse. Sono cose che si dicono assai frequentemente.
— Ecco l'occasione di dissipare un equivoco altrettanto diffuso quanto dannoso alla religione: e siamo in mezzo a due dozzine di persone che vivono in un ambiente di miscredenti e che forse ripeteranno intorno a sé ciò che odono stasera. Ci si chiede anche come Dio possa permettere la guerra: se esistesse veramente, non dovrebbe sopprimerla, dal momento che è infinitamente buono ed onnipotente? Perchè lasciare che gli uomini si battano così? perchè lasciare fare vittime innocenti? ... È questa un'obbiezione universale in ambiente operaio, traduzione popolare d'un difficilissimo problema, quello del male e della sofferenza, cui la guerra dà un'attualità tragica.

E qui si cerca di far capire che Dio ci ha creati liberi, responsabili delle nostre azioni, e che questo costituisce la nostra grandezza. Se abbiamo, purtroppo, il terribile potere di fare il male, è perchè abbiamo soprattutto la facoltà di far il bene, ecc...

La gente ascolta con grande interesse. È vero, essa non aveva mai pensato a ciò: Dio non cambia, continua a fare la primavera, il cielo azzurro, i bei chiari di luna, le notti stellate: non è davvero colpa Sua, se gli uomini approfittano del bel tempo per mandare velivoli a rovesciare tonnellate di bombe sul capo dei loro fratelli...
— Certo, Iddio potrebbe impedire la guerra, se lo volesse; ma dovrebbe allora continuamente contrastare la libera attività dell'uomo. Dio non è un dittatore: è un padre che ha dato a suoi figli tutto il necessario per farsi una vita bella, un Padre che chiede loro di amarsi. Se gli uomini rifiutano d'obbedire a Dio, se fanno cattivo uso dei suoi doni la colpa è loro, non già del Signore.

Questo linguaggio semplice e concreto, sparso di facezie che vengono ogni tanto a ricreare l'uditorio (la serata sarà gaia quanto mai: la religione non è qualche cosa di cupo o di triste: è allegra e vivente) impressiona molto gli astanti. Si legge sui loro volti che le idee si modificano... E adesso il parroco chiede che gli si rivolgano altre domande. Malgrado tutto, l'uditorio esita un po'; finalmente si decide una ragazza:
— Come mai un onest'uomo che pecchi una volta per debolezza può andare all'inferno prima d'essersi pentito, mentre basta che un grande criminale si penta all'ultima ora delle proprie colpe, perchè vada in cielo? È giusto?

 Ma no! spiega il signor parroco Iddio non è un giudice severo ed inquisitore, né un contabile intransigente. Dio è giusto, ma buono. Non dobbiamo credere che Egli stia continuamente lì a spiarci per coglierci in fallo e per approfittare della minima debolezza per mandarci all'inferno. No: Iddio è un Padre che ci ama e che vuole che noi l'amiamo, per sempre in cielo e sin d'ora su questa terra, per preparare il cielo. Si tratta specialmente di corrispondere al Suo amore. Egli lo desidera, insiste, ritorna senza tregua, dà prova d'una pazienza instancabile; ma se restiamo sordi a tanti richiami e chiusi sino all'ultimo al Suo amore, peggio per noi andremo all'inferno, e l'avremo scelto noi... Nel caso concreto che mi segnalate, Iddio non manderà all'inferno un uomo per un solo peccato, se la vita antecedente di costui sarà stata virtuosa: gli darà grazie di pentimento. Se egli le ricusa e s'inabissa nel peccato, peggio per lui! è libero... Iddio non costringe nessuno.

Si sfiora così il mistero della libertà e della grazia, con formule molto concrete, che tutti gli uditori capiscono senza fatica. Ma ecco un'altra domanda sulla responsabilità:
— Si è- sempre colpevoli, quando si fa il male? qualunque peccato merita invariabilmente l'inferno?
— Bisogna distinguere — precisa il signor parroco. — Se si fa il male a bella posta, sapendo di compierlo, si commette un peccato e si merita l'inferno, se la colpa è grave e se non ci si pente: chi però ignora che vi sia colpa, non fa peccato.
— In fondo... conclude qualcuno bisogna dire che il primo ha peccato «moralmente» e l'altro «materialmente».

Felice traduzione della nostra distinzione teologica fra peccato di forma e peccato di materia. Tutti hanno capito. Il parroco ricorderà certo questa frase per la prossima predica sul peccato. Adesso è la volta di un giovane, che visibilmente cerca una risposta al suo caso personale:
— Ma per essere salvi, bisogna praticare e andare in chiesa? Non basta credere in Dio e pregare da soli?
— Bisogna distinguere — risponde da capo il parroco — Chi non conosce la Chiesa (per esempio un selvaggio delle più remote contrade dell'America del sud) non è evidentemente obbligato a praticare. Se agirà secondo coscienza, Dio Io premierà ugualmente. Ma chi conosce la Chiesa, chi sa che bisogna praticare la religione e non lo fa, per negligenza o per pigrizia, non fa certamente il proprio dovere.

La conversazione prosegue, cordialissima. Si toccano svariate questioni, si illuminano le difficoltà più immediate, si eliminano le obbiezioni più diffuse, si parla di Dio, si fa conoscere Cristo. Non è così che procedeva San Paolo? La gente da conquistare sente parlare così delle cose religiose, nel suo ambiente naturale di vita. Ecco svanire progressivamente quel pregiudizio che faceva considerare la religione come una specie di partito, di setta a parte, che costituisce un ambiente chiuso. No, la religione non è un «affare da sagrestia»: interessa tutti ed inoltre si stabilisce in pieno nella vita concreta. Queste anime che, per la maggior parte, non vedrebbero il prete in nessun altro luogo, hanno preso contatto con lui sul terreno religioso. Con tutta naturalezza, egli ha parlato loro «del regno dei cieli» ed ha annunciato loro il Vangelo. Ha seminato a piene mani il buon grano in un terreno indubbiamente ancora incolto; ma la grazia di Dio agirà ormai nel segreto di quelle anime e forse farà germogliare il seme e farà rendere ad ogni chicco il cento per uno.

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