EXCURSUS: UN ESPERIMENTO PASTORALE

Potreste precisare alcune delle realizzazioni che vi sono proprie in fatto di apostolato diretto?

Volentieri: non già con la pretesa di servire da esempio, ma per dire dei nostri insuccessi come delle nostre riuscite, e per dimostrare che non siamo dottori o teorici, ma poveri uomini d'azione, né più né meno degli altri ed impegnati come essi nella battaglia.

Ecco, dunque, una scorsa a quel che abbiamo realizzato in questi ultimi cinque anni nel campo dell'apostolato diretto.

Abbiamo cominciato dapprima con una serie di prediche sull’apostolato, per tutto un mese: e ciò ritornò sempre come un leit-motiv in tutte le prediche dell'intero anno. Alla fine di quel mese capitò la festa di Cristo Re: splendida occasione per il nostro tema di predicazione mensile. La settimana precedente, dopo esserci ben accordati sulla divisione dei quartieri e sulla loro ripartizione, invitammo tutti i fedeli a riunirsi in una delle sale: facemmo loro conoscere il nostro progetto di decentrazione della parrocchia, con la sua geografia, ed annunciammo loro la nostra idea di fare alla domenica seguente una grande festa dell'apostolato:
— Noi disporremo le sedie in tanti quadrati. quanti sono i quartieri. Voi starete alle porte della chiesa, per accogliere i vostri vicini e condurli ai relativi posti.

Ogni prete prese allora in un angolo della stanza i militanti dei suoi quartieri e la reazione fu quasi la stessa in tutti i gruppi, specialmente per i quartieri più popolari.
— Ma non vi sarà nessuno del nostro quartiere! Io non conosco nessuno che venga in chiesa, tranne questi che son qui!
La settimana passò in inviti e alla domenica seguente, con grande sorpresa di tutti, i quadrati riservati erano troppo ristretti per ciascun quartiere. I militanti avevano capito che vi era possibilità di apostolato.

L'annata fu impiegata a cercare la formula delle riunioni di militanti e soprattutto delle visite. Un vicecurato tentò di dare un'occhiata a tutto il suo quartiere, di porta in porta, ma dovette ben presto rinunciarvi, data la vastità della missione e i risultati incerti. Un altro scoprì il metodo di farsi informare e persino sostituire dai militanti, e noi l'abbiamo conservato. Ci furono riunioni generali all'incirca per tutti i quartieri: esse ebbero vantaggi, ma anche inconvenienti. Per esempio, in un quartiere le ragazze rappresentarono una commediola. Entusiasmo. Si fece la questua per gli infelici della zona. Tutti si misero d'accordo per una nuova, prossima riunione: ma alla seconda prova bisognò rendersi conto che quelle signorine si eccitavano con lo spettacolo e che, nell'andare a fare inviti per la riunione, avevano più il desiderio di mettere in mostra il loro talento che di fare dell'apostolato. Insomma, come spesso accade, il palcoscenico minacciava di sviare le nostre militanti. Fu stabilito di diradare, e persino di sopprimere quelle riunioni del pomeriggio domenicale, che arrischiavano di fare più male che bene.

Nel secondo anno, cominciammo con un piccolo congresso parrocchiale dei diversi quartieri, che non mancò di animazione. Le adunanze di militanti furono regolarissime. Fu un anno d'organizzazione.

Il terzo anno si segnalò specialmente con l'inaugurazione delle riunioni a domicilio. Leggemmo quegli articoli dell'«Unione» di cui parlavamo dianzi. Nella riunione generale dei militanti a principio d'anno (ogni tanto raduniamo tutti i militanti dei diversi quartieri), lanciammo timidamente:
— Ecco quel che si fa altrove: perchè non farlo anche qui? ma noi non l'imporremo: aspetteremo che parli per primo chi lo vuole.

Passarono due mesi senza che nessuno aprisse bocca: poi un giorno, in una riunione di militanti, un tale disse:
— E quelle riunioni in casa nostra, quando cominceranno?
— Ma... io aspetto che me ne parliate voi... Non rammentate ciò che fu stabilito?
— Oh! lasciate fare a me: quando vorrete, la mia casa e pronta.
— Anche la nostra — disse un'altra famiglia.

Non c'era dunque che da cominciare. Adesso è diventato naturalissimo quel che pareva straordinario. Parrocchiani e parrocchiane da cui non ce l'aspettavamo preparano adunanze e si pongono a contatto con noi: cominciano persino ad esserci i veri professionisti in materia, con una tecnica definita: il marito va, per esempio, ad invitare gli uomini e la moglie s'incarica delle donne. Certe famiglie tengono due riunioni settimanali, perchè la gente del loro quartiere è «mista» ed esse hanno notato che la riunione non interessa nello stesso modo gli uni e gli altri Ah! se lasciassimo fare ai nostri laici, quante volte se la caverebbero meglio di noi!

Quell'anno attendemmo di comune accordo la Quaresima; ma nelle settimane precedenti giocammo d'audacia:
— Fratelli, avete fatto sinora un grande sforzo per condurre gente alle prediche quaresimali, alle 5 pomeridiane della domenica. La nostra chiesa era piena; ma non basta. Chi voleva venire, è venuto; ci sono però forse molti altri che non vengono mai in chiesa. Radunateli in casa vostra.

Ed insistemmo:
— Non vi chiediamo mai sforzi di denaro, ma vi chiediamo questo sforzo d'apostolato.

Nella seguente Quaresima facemmo 34 riunioni a domicilio. Esse avevano un fascino speciale, un'atmosfera di Chiesa Primitiva, particolarmente in un'epoca come la nostra. L'uditorio variava, seconde le case: la media oscillava fra 10, 15, 20 persone, e talora di più. Una volta o due si fece fiasco: non erano presenti che tre o quattro veri cristiani. In generale sono credenti che hanno abbandonato la pratica religiosa: alcuni sono miscredenti, inquieti o curiosi delle cose di religione. Ci sono naturalmente degli invitati che all'ultimo momento se la svignano; ma viceversa non mancano i vicini che all'indomani dicono:
— Se l'avessi saputo, ci sarei andato; un'altra volta, voglio essere invitato.

Un foglietto distribuito in anticipo, o dalla famiglia che invita o da noi, serviva d'argomento alla discussione. Quell'anno, il tema scelto fu d'attualità:
— Che cosa pensa la Chiesa del nazismo? delle deportazioni?

Era facile, chiedendo notizie dei prigionieri, dei deportati, attaccare conversazione. Noi soggiungevamo sempre, o facevamo porre da un militante la domanda:
— Se Dio esistesse, ci sarebbero le guerre?

Poi si sono presi altri temi: problema della sofferenza, speranza cristiana, vanità del progresso moderno senza un corrispondente progresso morale, necessità della religione, ecc. Inutile dire che, secondo i casi, venivano sollevate altre questioni, mentre non si toccavano certi punti previsti. Si vorrebbe un maggior numero di domande, ma ce ne sono già, e di valore. Così un istitutore di vecchio stampo volterriano domandava:
— Se la fede non c'è, come fare per ottenerla?

E una mamma:
— Come giustificare la sofferenza che colpisce un povero bimbo innocente?

Sotto l'apparenza della generalità che l'interlocutore vorrebbe dare alla sua domanda, è facile scoprire il grido dell'anima: un grido personale. La discussione è sempre cortese e la risposta convince facilmente. Ecco una riflessione udita uscendo da una riunione: è uscita dalle labbra di un uomo che aveva dichiarato d'essere venuto «per discutere»:
— Solo il cattolicesimo può convincerci.

Al termine del terzo anno, ci venne l'idea d'intaccare ancor più profondamente ogni quartiere e di intraprendere una missione generale. Fu il grande lavoro del quarto anno. Durante le vacanze stabilimmo con precisione piani di battaglia: una missione di quindici giorni per ogni quartiere, fatta dal clero parrocchiale. Nell'anno non vi erano però sufficienti quindicine, e perciò decidemmo di raggruppare per 1a maggior parte del tempo due quartieri insieme.

Ecco in che consistevano quelle missioni.

Tutta la prima settimana e i primi tre giorni della seconda erano dedicati a visite d'uscio in uscio, a riunioni a domicilio. Partivamo ogni pomeriggio, avendo ciascuno la nostra strada designata dal prete responsabile del quartiere. Bussavamo ad ogni porta con l'obbiettivo ben definito di parlare di religione. Era facile entrare in materia, mediante il foglio che portavamo:
— Sapete? domenica avranno luogo in parrocchia grandi festeggiamenti riservati al vostro quartiere: vengo quindi ad invitarvi. Forse non venite in chiesa da molto tempo...

La risposta era variabile:
— Oh, non abbiamo tempo... non ci occupiamo di queste cose...
Oppure:
Oh! è vero... siamo proprio negligenti...

Qualunque fosse la risposta, la questione era avviata: o per discutere, o per incoraggiare, eravamo nel nostro campo. Non era raro che, due o tre volte in un pomeriggio, ci sedessimo per dare un vero indirizzo di coscienza o per indicare la strada del ritorno ad anime dimentiche del loro dovere. Le serate erano occupate da riunioni a domicilio, in cui avevamo spesso 20 o 25 interlocutori. Parlavamo allora del problema della sofferenza e soprattutto della necessità d'un al di là per dare un significato alla nostra vita.

La missione si chiudeva con due riunioni in chiesa. La prima sera discutevamo le obbiezioni raccolte a domicilio: all'indomani, o continuavamo la medesima discussione, o presentavamo ai nostri uditori — in quadri viventi — il racconto della Passione, che un prete cantava in francese su una melodia gregoriana, mentre il predicatore sottolineava dopo qualche scena (quella di Giuda, di San Pietro, di Pilato, ecc... ) il peccato contro Cristo, il pentimento della Maddalena, del buon ladrone, e così di seguito, concludendo col chiedere il ritorno a Dio.

Erano presenti quasi tutti elementi nuovi, venuti in seguito al nostro invito. Non si sono certo convertiti tutti; ma non è già qualche cosa che, per una volta tanto in vita loro, abbiano udito la parola di Dio? Del resto, al loro ingresso in chiesa, noi prendevamo il nome e l'indirizzo delle famiglie intervenute, per portare loro un ricordo di missione: quei nomi venivano affissi, per ulteriori visite ed inviti.

È impossibile continuare tutti gli anni uno sforzo di quel genere: ma ogni anno noi pensiamo di fare una missione o due. Nel novembre 1944, abbiamo già dato quella della cappella di soccorso: è durata tre settimane, con quattro riunioni in chiesa. Ne avremo un'altra nella primavera del 1945, per due dei quartieri visitati l'anno scorso. Ciò che noi chiamiamo «missione» non è dunque un atto straordinario, ma un atto normale d'apostolato del clero parrocchiale e di sforzo di conquista per i militanti.

Quest'anno abbiamo lanciato quello che chiameremo «il passaggio della Madonna». Molte altre parrocchie l'hanno già fatto prima di noi: ci è parso interessante servircene. Una domenica sera benediciamo altrettante statue della Vergine quanti sono i quartieri, e un militante si porta via la statua che egli ha l'incarico di far passare di famiglia in famiglia. Ogni Madonna deve stare ventiquattr'ore in una casa, per poi essere portata in un'altra.

Si è ben presto dovuto raddoppiare e triplicare il numero delle statue. Certi stabili reclamano solo per sé la Madonna durante un intero mese: certe zone, dove non avremmo mai creduto di poterla introdurre, la trattengono due settimane: e che razza di zone sono!...
Viene anche dato il testo delle preghiere da recitarsi ogni sera in famiglia.

Questo passaggio della Vergine è per noi il pretesto di un doppio intervento. Anzitutto, passando a portarne un ricordo, possiamo entrare in conversazione con la famiglia: poi, dopo essere stata in tutte le case dipendenti da un militante, la statua ritorna in casa di lui, ed egli invita quella sera tutte le famiglie che l'hanno ricevuta. Viene anche il prete, e per una parte della serata si parla della Madonna, della sua verginità, dei suoi miracoli, ecc... Si finisce pregando insieme. All'indomani, la statua viene portata in un altro angolo del quartiere. La lista delle persone che avranno così ricevuto la Madonna sarà lunghissima. Molte famiglie che non mettono mai piede in chiesa hanno accettato d'accoglierla e l'hanno persino richiesta insistentemente. Appena due o tre case le hanno chiuso le loro porte. Noi abbiamo dunque così l'occasione di entrare in molte famiglie e la Madonna prepara mirabilmente il terreno.

Abbiamo citato queste esperienze per dimostrare come sia elastico, ricco d'ogni sorta d'ingegnosità, quel che chiamiamo «l'apostolato diretto». Le sue possibilità per il clero e per i militanti sono immense, svariate come le parrocchie stesse. Ne abbiamo dato qui alcuni tipi, che abbiamo scoperti noi medesimi. Ciascuno potrà scoprirne altri e vedere come, nella sua parrocchia, possa applicarsi il piano d'apostolato diretto, d'azione cattolica generalizzata E d'altronde, questo apostolato non è un ritorno a quello primitivo dei tempi apostolici? Anche se un giorno una persecuzione ci privasse di qualsiasi altro mezzo, ci resterà sempre questo. Ed è il migliore.

Parlavate poco fa della Quaresima. Credete dunque che, anche in paese di missione si debba conservare l'usanza delle prediche quaresimali?

Bisogna vedere che cosa s'intende per «prediche quaresimali»: ma «offensiva di Quaresima» certamente: è nel più puro spirito della Chiesa. Non si è un po' dimenticato che cosa dovrebbe essere la Quaresima, nelle nostre parrocchie? Nella tradizione ecclesiastica, oltre ad essere un periodo di penitenza, è un tempo di riflessioni orientate verso 1a conversione. Se è vero per il popolo fedele e nelle parrocchie cristianissime, a più forte ragione deve esserlo per le parrocchie missionarie! Dovrebbe essere questa l'epoca della grande offensiva annuale, con la mobilitazione generale e con la messa in opera di tutti i mezzi adatti a raggiungere le pecore smarrite.

D'altra parte, non constatiamo un po' dappertutto che è un tempo di grazia? Le mortificazioni dei monasteri, la preghiera e la penitenza delle anime ferventi formano una specie di assedio a Dio ed attirano abbondanti grazie. Non esiste un prete il cui ministero non abbia raccolto, in prossimità della Pasqua, qualcuno di quei meravigliosi frutti ottenuti; dalla divina misericordia. Perchè, dunque, non dovremmo approfittarne anche noi, per stringere d'assedio le anime? Evidentemente, se la «Quaresima» consiste in una predica un po' più solenne alla messa delle undici, non è fatta per le nostre parrocchie popolari. Se ci accontentiamo d'aggiungervi una riunione al martedì o al mercoledì, avremo disturbato un predicatore forestiero per un centinaio (sì e no!) di frequentatori: non avremo turbato la superficie dell'acqua parrocchiale. In una parrocchia di lavoratori, è alla domenica che si può radunare la propria gente; ma ecco, non basta convocarla per ascoltare un sermone. Bisogna che la riunione in chiesa sia più attraente. Facciamo, se è necessario, una festa ogni domenica, organizzandola in vista d'un pubblico foltissimo. Andiamo ad invitare a domicilio questo pubblico e diamogli un motivo speciale di venire.

S'intende che, in tutte le settimane di Quaresima, i preti saranno per la strada, invitando e convocando incessantemente nuovi strati della popolazione. È necessario un pretesto, ma è facile trovarne. Una settimana, si andrà a fare visita ai genitori dei bambini del catechismo; alla seconda, da coloro che nell'anno precedente vennero alla missione; alla terza, s'inviteranno tutte le famiglie che hanno ricevuto la Madonna; nella quarta, i genitori dei fanciulli che faranno la Prima Comunione in privato. E così via. Tutte le sere, durante la Quaresima, sarà più che mai il momento di fare riunioni a domicilio.

Allora, in molti casi, potremo parlare direttamente della Pasqua e fare inviti per le prediche. Se alla domenica è organizzata una festa, la quale si addica proprio a chi è stato invitato, c'è probabilità di avere folla. Se si prometterà una distribuzione di ricordi, o se si farà una festa di santa Teresa, si avrà la chiesa stipata. Non dimentichiamo che la folla è la migliore apologetica per la folla. Di domenica in domenica, si tengono tutti in sospeso, e per quelli che ritornano c'è buona speranza di lavorarli con la grazia pasquale. Il sermone dovrà naturalmente essere adattato a quell'uditorio: noi, in Quaresima, adottiamo molto la conferenza dialogata. Alla Domenica delle Palme, quando ci sono tutti, la predica non deve toccare un argomento qualsiasi, ma deve trattare il dovere pasquale, e con insistenza. La Settimana Santa deve essere organizzata in modo da rivolgersi al gran pubblico; allora, senza alcun dubbio, saranno raggiunte molte anime.

Constatate qualche risultato?

Constatiamo ogni anno un considerevole aumento di comunioni pasquali. È nostro comune parere che le anime sono qualche volta toccate dalla tale iniziativa, dalla tale riunione, dalla tale predica, ma che soprattutto «l'insieme», l'azione concertata dei molteplici colpi, è quella che conficca il chiodo.

In una sola settimana pasquale, abbiamo ricevuto la visita di sei adulti, uno dei quali (padre di famiglia) ci chiese d'essere preparato al battesimo, mentre gli altri cinque domandavano la preparazione alla Prima Comunione. Ecco quel che ci disse uno di essi, per spiegare la sua conversione:
— Vi stupirete certamente, reverendo, perchè alcuni mesi or sono veniste a casa mia, ed io vi ricevetti così freddamente: non volevo sentir parlare di religione... Ma sono venuto ad un funerale e sono rimasto commosso di fronte al modo con cui lo facevate. Ne fui talmente impressionato, da capire e da vedere che voi credete fermamente in ciò. Per questo, quando siete venuto ad invitarmi alla riunione in casa X, ho deciso di andarvi. Ho capito colà che la religione è qualche cosa di serio. Ho voluto venire alla messa delle Palme: la predica mi ha scosso, ed ho stabilito di ritornare a Pasqua. Allora, quando ho visto tutti farsi avanti per la Comunione e mi sono trovato quasi solo al mio posto, ho compreso che ero uno spostato ed ho voluto diventare cristiano. Ecco perchè oggi sono qui.

Citiamo questo esempio, quale ci fu fornito dalla bocca stessa dell'interessato: non avremmo potuto inventare nulla di meglio, per illustrare il nostro sforzo d'apostolato diretto. Se potessimo penetrare nel segreto delle anime, vedremmo a colpo sicuro che è l'insieme dell'offensiva quaresimale, oltre all'insieme del nostro lavoro di penetrazione, ciò che annualmente ci vale da 150 a 200 comunioni in più.

Ma che cosa fate per i bambini? Il vostro apostolato diretto presso gli adulti vi lascia ancora il tempo d'occuparvi di essi? Nel nostro colloquio sulle opere, avete attaccato seriamente i patronati. Ma bisogna pure occuparsi dei giovani!

Ci aspettavamo la vostra domanda, come regolarmente ce l'aspettiamo da ogni confratello che ci interroga sul nostro apostolato. Infatti, non si può ormai più parlare d'apostolato ad un prete o ad un laico, senza che immediatamente egli pensi ai bambini. Esistono, sì, questi cari piccoli: noi non possiamo passare sotto silenzio il problema della loro evangelizzazione, a patto però — l'abbiamo già sottolineato — che questa preoccupazione non ci faccia dimenticare la sorte degli adulti. Rassicuratevi: noi ci occupiamo anche dei bambini; ma il problema che ci assilla a loro riguardo, è quello della loro evangelizzazione, non quello della loro educazione. Questa può essere interessante, ma per noi lo è solo in quella misura con cui è legata all'altra. L'articolo di don Rétif, che mettiamo in appendice al presente colloquio, vi spiegherà quel che facciamo per i bambini del catechismo.

Per essi, come del resto per quelli maggiori d'età, il nostro grande principio è di non fare nulla che possa lasciare credere alle famiglie che esse possono scaricare su noi la cura di sorvegliarli e d'occupare le loro ricreazioni.

Restano adesso quelli dai dodici anni in su. Siamo incaricati d'istruirli, di sempre più penetrarli della vita cristiana, di dar loro il messaggio evangelico. Sono adolescenti: bisogna dunque parlare il loro linguaggio, per essere capiti; ma, oltre a ciò, bisogna capire la loro età, e cioè sapere che hanno bisogno d'attività, di gioia, di giuoco. Non si tratta di rivestire, di dissimulare un insegnamento cristiano con un complesso di distrazioni che ingannano loro e noi, in modo che ciascuno ne trae un significato diverso. Si tratta:

  • di metterci ben d'accordo con essi su quel che vengono a cercare e su quel che noi vogliamo dar loro;
  • di trasmetterglielo in modo vivo;
  • di unire il dilettevole al santificante, per sorreggere le loro giovanili debolezze.

Ma ecco che noi cominciamo a dare ai nostri fanciulli orientamenti apostolici e a puntellare la loro perseveranza con l'appoggio delle famiglie. Dopo la Comunione solenne, essi vengono raggruppati in piccole comunità di quartiere, affidate ciascuna ad una fanciulla che sembri dare serie garanzie, e particolarmente poi ai gruppi di militanti adulti e alle famiglie cristiane del quartiere. Per le ragazzine, ci sono naturalmente i movimenti specializzati: abbiamo una sezione della I.E.C.F., ed un'altra di giovani della I.O.C., più una sezione della I.I.C.F.; ma poiché le nostre parrocchiane sono in prevalenza operaie, il movimento principale è quello giocista. Abbiamo perciò due sezioni di I.O.C.F., corrispondenti alle due parti ben distinte del nostro territorio. Le adolescenti che cominciano a lavorare sono chiamate alla I.O.C. giovanile.

Le nostre sezioni giociste — e specialmente quella che si rivolge alla parte più operaia — in conformità all'apostolato generale della parrocchia, hanno cercato esse pure un metodo di conquista più diretta. Quando il Segretariato generale lanciava le squadre E.O., le nostre giociste hanno voluto porre più nettamente il problema di Cristo davanti alle loro compagne. Invece di squadre E.O., costituivano «comunità» di quartiere. Ecco come.

Le militanti della sezione si riunirono anzitutto in una prima comunità, e durante le prime adunanze fecero tra loro uno scambio d'idee, di scoperte sulla loro vita personale con Cristo. Si suddivisero poi in due gruppi, ciascuno dei quali provocò una riunione in casa d'una giovane «di massa», dov'era invitata una dozzina di ragazze di massa del quartiere. Era stato fatto un piano di tre riunioni successive: una per conoscersi, la seconda per parlare dell'amore, la terza per parlare di Cristo. Il successo fu come lo si sperava: le ragazze furono conquistate da quella relazione leale, e parecchie domandarono altre riunioni. Allora la «cristianità» era fondata. Si lasciavano due militanti per continuarla: le altre, sempre a coppia, sciamavano altrove. Ci furono persino cinque o sei comunità nel quartiere. Non tutte hanno conservato il loro effettivo (la perfezione non è di questo mondo); ma si continua sempre a farvisi del bene, sempre nel senso dell'apostolato diretto. Le militanti poi si riuniscono, come tutte le sezioni, in C.E. ed in un comitato, studiando i problemi operai dei loro quartiere e stimolandosi ad un'intensa vita interiore, mettendo il più possibile in comune la loro vita spirituale.

Per i ragazzi, il problema era evidentemente più difficile da risolvere, perchè più delle ragazze essi hanno bisogno di movimento e di giuoco. A nessun costo volevamo che un'opera aprisse necessariamente i battenti, quando la scuola chiudeva i suoi: ciò non impedisce però di radunare in certi giorni i ragazzi. Vi sono laici che li fanno giuocare. I quadri dei «Cuori Prodi» li stimolano e i programmi del movimento sono temi d'insegnamento e d'azione. I gruppi di quartiere — confessiamolo — non hanno avuto buon esito; ma in compenso i gruppi di scuole rendono molto.

Per i giovani, abbiamo un gruppo di «Città dei giovani», che si preoccupa grandemente dell'azione parrocchiale, ed un'ottima sezione giocista. Ma è assai chiaro (alcuni minuti di conversazione con qualunque nostro giovane ve lo dimostrerebbe) che il maggior mezzo di perseveranza e di rifornimento spirituale è per essi la vita parrocchiale. Sono numerosi i giovanotti che non fanno parte di nessun gruppo e rimangono a contatto con noi, rallegrandosi delle cerimonie, delle riunioni di quartiere, dell'influenza sacerdotale. Le più belle vocazioni di fanciulli e di giovani si devono pur sempre contare fra coloro che hanno avuto solo la parrocchia come «opera di perseveranza».

È logico che la parrocchia debba pensare ai suoi giovani. Appena vi è una festa che può interessarli, essi vi sono convocati in modo speciale. All'inizio dell'anno scolastico, in quaresima, al momento del ritiro pasquale, il sacerdote monta in bicicletta e passa in tutte le famiglie a suonare l'adunata. Così, di anno in anno, certe pecore restano fedeli o si ritrovano, e mentre all'ultima Pasqua sentivamo alcuni confratelli lagnarsi perchè i loro ritiri pasquali dei giovani non erano stati ben seguiti, noi avevamo la gioia di constatare che da noi il numero era stato più grosso che mai. 

Certo, non vedrete da noi — tranne che alla messa domenicale delle otto — effettivi di giovani che assistano in fitti gruppi alle processioni o alle cerimonie della sera. Non abbiamo la possibilità di suonare la campana, affinché uno sciame di bambini raccolti nei cortili vengano a far numero per le compiete della domenica o per la benedizione del SS. Sacramento. Non rimpiangiamo affatto queste «consolazioni». Non per ciò i nostri giovani sono abbandonati più che in altre parrocchie, dove le opere che «stagnano» fanno spesso dimenticare gli elementi che non ne fanno parte.

 

EXCURSUS: UNA RIUNIONE A DOMICILIO

Un prete di passaggio descrive così una riunione, alla quale assistette:

Una famiglia di operai, militanti cattolici, ha invitato alcuni parenti, vicini, ed amici, a venire a trascorrere una serata in casa sua. Tutti sono stati avvertiti che verrà il signor parroco e che si discuterà di questioni religiose. Nessuno si è fatto pregare: è così naturale andare da un amico che vi invita! X è conosciuto come un «tipo chic» e il signor curato che, ad onor del vero, non si conosce quasi, tutto sommato è simpatico.
Nel giorno fissato, tutti arrivano alla spicciolata: la stanza del pianterreno dove, per la circostanza, sono state raggruppate tutte le sedie della casa — si riempie a poco a poco. Si sta piuttosto pigiati, ma non importa: l'intimità sarà maggiore.

Arriva il signor parroco, accompagnato questa volta da un giovane sacerdote, che è venuto «per vedere». Due sottane sono molto per questo «circolo di studi» di nuovo genere; ma nessuno ne sembra eccessivamente spaventato. Si chiacchiera allegramente di varie cose: il ghiaccio è presto rotto e tutti si trovano a loro agio. Del resto, si è fra amici... Vi sono circa 25 persone: i giovani si sono messi sugli scalini della rampata che conduce al primo piano, ed il loro gruppetto è un po' agitato. Intorno al tavolo si trova una dozzina di uomini ed un'altra di donne. I più si conoscono tra loro. Niente di insolito in questa riunione, tranne la presenza del curato, che non si ha l'abitudine di vedere così da vicino: ma in realtà tutti sono venuti per ascoltare lui. Egli prende la parola. Che cosa ci dirà? Ci farà una predica?

— Amici miei, non vi stupirete certamente nell'udirmi parlare di religione, vero? È proprio per questo che siete venuti qui stasera. In fin dei conti, il prete fa la sua parte, quando parla di religione: se non lo facesse, trovereste che manca al suo dovere.
(Approvazioni molto marcate).

 Vedete, la questione religiosa è importantissima: preoccupa, più o meno, tutti e merita d'essere meditata e studiata. Ciò che vi dico è così vero, che noi preti vi abbiamo consacrato tutta la nostra esistenza. Durante la nostra vita, noi non dobbiamo occuparci d'altro che di far conoscere la religione, di parlare d'Iddio e di farlo amare. Dopo aver lungamente studiato la cosa, abbiamo pensato che essa meritava di darvisi per intero, E di sacrificarle tutto, compreso il diritto riconosciuto a tutti di fondare una famiglia con le gioie così pure e profonde che ne derivano...

L'uditorio è vivamente interessato da quella testimonianza semplice e diretta: l'atmosfera è ora apertamente simpatica. E si attacca così l'esame di alcune obbiezioni fra quelle più correnti dell'ambiente popolare.
— Si sente spesso dire che il sacerdozio è un mestiere come un altro, che la Chiesa è una questione di denaro, che i preti sono agenti incaricati di riempire il più possibile le casse. Sono cose che si dicono assai frequentemente.
— Ecco l'occasione di dissipare un equivoco altrettanto diffuso quanto dannoso alla religione: e siamo in mezzo a due dozzine di persone che vivono in un ambiente di miscredenti e che forse ripeteranno intorno a sé ciò che odono stasera. Ci si chiede anche come Dio possa permettere la guerra: se esistesse veramente, non dovrebbe sopprimerla, dal momento che è infinitamente buono ed onnipotente? Perchè lasciare che gli uomini si battano così? perchè lasciare fare vittime innocenti? ... È questa un'obbiezione universale in ambiente operaio, traduzione popolare d'un difficilissimo problema, quello del male e della sofferenza, cui la guerra dà un'attualità tragica.

E qui si cerca di far capire che Dio ci ha creati liberi, responsabili delle nostre azioni, e che questo costituisce la nostra grandezza. Se abbiamo, purtroppo, il terribile potere di fare il male, è perchè abbiamo soprattutto la facoltà di far il bene, ecc...

La gente ascolta con grande interesse. È vero, essa non aveva mai pensato a ciò: Dio non cambia, continua a fare la primavera, il cielo azzurro, i bei chiari di luna, le notti stellate: non è davvero colpa Sua, se gli uomini approfittano del bel tempo per mandare velivoli a rovesciare tonnellate di bombe sul capo dei loro fratelli...
— Certo, Iddio potrebbe impedire la guerra, se lo volesse; ma dovrebbe allora continuamente contrastare la libera attività dell'uomo. Dio non è un dittatore: è un padre che ha dato a suoi figli tutto il necessario per farsi una vita bella, un Padre che chiede loro di amarsi. Se gli uomini rifiutano d'obbedire a Dio, se fanno cattivo uso dei suoi doni la colpa è loro, non già del Signore.

Questo linguaggio semplice e concreto, sparso di facezie che vengono ogni tanto a ricreare l'uditorio (la serata sarà gaia quanto mai: la religione non è qualche cosa di cupo o di triste: è allegra e vivente) impressiona molto gli astanti. Si legge sui loro volti che le idee si modificano... E adesso il parroco chiede che gli si rivolgano altre domande. Malgrado tutto, l'uditorio esita un po'; finalmente si decide una ragazza:
— Come mai un onest'uomo che pecchi una volta per debolezza può andare all'inferno prima d'essersi pentito, mentre basta che un grande criminale si penta all'ultima ora delle proprie colpe, perchè vada in cielo? È giusto?

 Ma no! spiega il signor parroco Iddio non è un giudice severo ed inquisitore, né un contabile intransigente. Dio è giusto, ma buono. Non dobbiamo credere che Egli stia continuamente lì a spiarci per coglierci in fallo e per approfittare della minima debolezza per mandarci all'inferno. No: Iddio è un Padre che ci ama e che vuole che noi l'amiamo, per sempre in cielo e sin d'ora su questa terra, per preparare il cielo. Si tratta specialmente di corrispondere al Suo amore. Egli lo desidera, insiste, ritorna senza tregua, dà prova d'una pazienza instancabile; ma se restiamo sordi a tanti richiami e chiusi sino all'ultimo al Suo amore, peggio per noi andremo all'inferno, e l'avremo scelto noi... Nel caso concreto che mi segnalate, Iddio non manderà all'inferno un uomo per un solo peccato, se la vita antecedente di costui sarà stata virtuosa: gli darà grazie di pentimento. Se egli le ricusa e s'inabissa nel peccato, peggio per lui! è libero... Iddio non costringe nessuno.

Si sfiora così il mistero della libertà e della grazia, con formule molto concrete, che tutti gli uditori capiscono senza fatica. Ma ecco un'altra domanda sulla responsabilità:
— Si è- sempre colpevoli, quando si fa il male? qualunque peccato merita invariabilmente l'inferno?
— Bisogna distinguere — precisa il signor parroco. — Se si fa il male a bella posta, sapendo di compierlo, si commette un peccato e si merita l'inferno, se la colpa è grave e se non ci si pente: chi però ignora che vi sia colpa, non fa peccato.
— In fondo... conclude qualcuno bisogna dire che il primo ha peccato «moralmente» e l'altro «materialmente».

Felice traduzione della nostra distinzione teologica fra peccato di forma e peccato di materia. Tutti hanno capito. Il parroco ricorderà certo questa frase per la prossima predica sul peccato. Adesso è la volta di un giovane, che visibilmente cerca una risposta al suo caso personale:
— Ma per essere salvi, bisogna praticare e andare in chiesa? Non basta credere in Dio e pregare da soli?
— Bisogna distinguere — risponde da capo il parroco — Chi non conosce la Chiesa (per esempio un selvaggio delle più remote contrade dell'America del sud) non è evidentemente obbligato a praticare. Se agirà secondo coscienza, Dio Io premierà ugualmente. Ma chi conosce la Chiesa, chi sa che bisogna praticare la religione e non lo fa, per negligenza o per pigrizia, non fa certamente il proprio dovere.

La conversazione prosegue, cordialissima. Si toccano svariate questioni, si illuminano le difficoltà più immediate, si eliminano le obbiezioni più diffuse, si parla di Dio, si fa conoscere Cristo. Non è così che procedeva San Paolo? La gente da conquistare sente parlare così delle cose religiose, nel suo ambiente naturale di vita. Ecco svanire progressivamente quel pregiudizio che faceva considerare la religione come una specie di partito, di setta a parte, che costituisce un ambiente chiuso. No, la religione non è un «affare da sagrestia»: interessa tutti ed inoltre si stabilisce in pieno nella vita concreta. Queste anime che, per la maggior parte, non vedrebbero il prete in nessun altro luogo, hanno preso contatto con lui sul terreno religioso. Con tutta naturalezza, egli ha parlato loro «del regno dei cieli» ed ha annunciato loro il Vangelo. Ha seminato a piene mani il buon grano in un terreno indubbiamente ancora incolto; ma la grazia di Dio agirà ormai nel segreto di quelle anime e forse farà germogliare il seme e farà rendere ad ogni chicco il cento per uno.