Come fare, per determinare questo movimento (di apostolato diretto)?

I - Si tratta in primo luogo di una convinzione da far entrare nella testa e nel cuore dei parrocchiani fedeli. E voi capite che è un affare serio, quando ci si attacca per la prima volta ad un vecchio ambiente parrocchiale affetto da sclerosi, ai signori del circolo, alle nonne cristiane, a tutti i frequentatori della messa delle undici, per dire loro e soprattutto per persuaderli che non si può essere cristiani senza essere apostoli! Eppure, bisogna arrivarci. Con la predicazione, col tratto, con l'esortazione personale, in tutti i modi, «opportunamente ed importunamente», bisogna innanzi tutto far loro prendere coscienza degli altri» e del lavoro che rimane da compiere. Si può dir loro — e bisogna che essi lo sappiano — che noi ci appassioniamo non «di loro», ma «degli altri». Bisogna anche che arrivino ad ammettere di non essere «interessanti» per noi; per poco che si sappia dirglielo a proposito, vi acconsentono.

Un esempio: per la messa di mezzanotte, la chiesa è invasa da una folla enorme ed insolita. Sedie, banchi, corsie, tutto è stipato, e da gente che non si dà pensiero se il suo vicino di dietro non può vedere. I fedeli, i frequentatori abituali sono spesso mal collocati. All'indomani, ricevo successivamente la visita di due parrocchiane. con cui parlo della festa. La prima, evidentemente tipo «antica cristiana», mi dice:
— Peccato, però, che in queste occasioni si debba vedere nei buoni posti un mucchio di gente, mentre noi frequentatori assidui dobbiamo stare in fondo!
Due ore dopo, la seconda, una bravissima militante, mi dice:
— Signor curato, per la verità non abbiamo visto niente, nè io, nè mio marito, nè i ragazzi; c'era tanta folla in piedi davanti a noi! Ma come eravamo contenti di vedere tanta gente in chiesa! meglio loro che noi: ne hanno tanto bisogno!
Alla domenica seguente, mi scusai in questi termini di fronte ai miei parrocchiani:
— Fratelli, chiedo venia alle persone che non hanno trovato un buon posto per la messa di Natale: ma vi conosco e sono sicuro che tutti vi sarete rallegrati del numero di astanti e che pensate come quell'ottima militante che mi ha detto all'indomani: «Non abbiamo visto niente, ma...». Avete certamente capito che gli altri dovevano passare prima di voi.

Quante occasioni abbiamo per dare ai nostri fedeli questo assillo degli altri! e più ancora: di far loro portare il peso degli altri! Bisogna mostrar loro che esso non riguarda solo i militanti dei gruppi d'opere o dei movimenti specializzati, ma che, siccome il Papa chiede ai cattolici di fare dell'azione cattolica, nessun cristiano può esimersi, perchè non gli è più permesso. Bisogna che capiscano che non è questa un'opera supererogatoria a scelta, ma che fa parte integrante della vita di un cristiano. Dal giorno in cui l'ambiente parrocchiale comincia a guardare così ad extra, a preoccuparsi della conquista, è già pronto a trasformarsi in vera comunità cristiana. La preoccupazione apostolica gli ispira insieme fervore e coesione interna.

II - Ma non basta. Anche convinti della necessità della conquista, i nostri bravi parrocchiani non sono tuttavia formati all'azione cattolica. È così facile confondere apostolato ed azione cattolica! E bisogna confessare che i preti li confondono spesso e sanno sol parlare d'influenza personale, individuale. È assai facile chiedere ai nostri fedeli d'essere apostoli; ma che cosa significa questo per loro? semplicemente scoprire intorno a sè qualche bambino che non è battezzato o non viene al catechismo, ed intervenire presso i genitori: oppure intercedere presso una coppia sposata civilmente, affinché «regolarizzi» la sua situazione (anche se non vivrà più cristianamente nel matrimonio). E meno male ancora, quando questo apostolato non consiste in una pressione inopportuna per far venire a messa o per strappare un'adesione al Rosario perpetuo!

Si tratta di trasformare questi «cercatori» o queste «cercatrici» in un nucleo di militanti: ardua impresa!

Bisogna far loro vedere che per mezzo di essi noi vogliamo non già accaparrare, ma irradiare, penetrare di spirito cristiano il loro ambiente, fare accedere le anime al senso di Cristo — piuttosto che reclutarle per le nostre opere o per le nostre funzioni — e creare un'atmosfera cristiana. Per questo, abbiamo necessità del concorso di tutti: Non è un compito riservato ai militanti dei movimenti specializzati. Ciascuno, vivendo in un certo ambiente che gli è affidato da Cristo, dovrà rendere conto non già della salvezza della tale anima o della tal altra in particolare, ma di ciò che costituisce come l'estensione della sua propria persona, cioè dell'atmosfera che si respira intorno a lui, dell'influenza che egli sarà stato in grado d'esercitare.

Ancora una volta, è difficile far capire questa esigenza. Sarà il risultato di riunioni speciali, di consegne precise, d'orientamenti individuali. Si tratta dunque d'organizzare questo più grande esercito di tutta la comunità parrocchiale. Per questo serviranno i «quartieri»: in ciascuno di essi i nostri buoni cristiani saranno chiamati a diventare militanti. Nel corso di riunioni particolari in ogni quartiere, il prete che ne è responsabile discute, col piano in mano ed usufruendo d'informazioni precise, della possibile influenza sul tale o tal altro punto. Là è una brutta strada, dove bisogna assolutamente scoprire una famiglia militante: qui è la «fila» al negozio, dove tra le massaie si parla delle questioni giornaliere: ecco la zona da influenzare! Altrove è un tal parrucchiere dove bisogna far entrare alcuni dei nostri migliori: eccetera...

Queste riunioni dei militanti devono essere qualche cosa di molto elastico. Anzitutto si invita tutta una famiglia militante: essa s'incarica poi delle altre famiglie del quartiere. I giovani s'incaricano dei giovani: e via di seguito. In queste adunanze hanno naturalmente la loro parte i militanti dei movimenti specializzati. In primo luogo, quelli che sono stati i primi a capire servono come modelli e trascinano gli altri; ma importa essenzialmente che queste riunioni siano molto aperte, che non vi sia un titolo di «militante del quartiere», per modo che altri possano incoscientemente dire:
— Non fa per me, non c'è posto per me, non è affar mio.

Noi annunciamo dal pulpito le riunioni alla domenica precedente ed invitiamo a venirci tutti i cristiani del quartiere. Ci sono, s'intende, i fedeli, quelli che non mancano mai e che sono le vere chiavarde dell'azione: ma occorre che tutti si sentano chiamati. Se vi è chi non può proprio fare altro (non diciamolo troppo, però, perchè altrimenti molti sceglierebbero questa posizione di ripiegamento, che è più comoda), è invitato a pregare per il lavoro dei suoi fratelli. Tutti gli altri dovranno essere trascinati nel movimento, affinché si affermino ciascuno dal canto suo, si uniscano con quelli che vivono nello stesso ambiente, facciano testimonianza di fede nel grado proprio. Si procederà in maniera diversa: non si chiederà a tutti la stessa cosa, ma a tutti si domanderà qualche cosa, cosicché nessuno abbia a credersi fuori dal movimento missionario. Bisogna anche considerare la diversità dei quartieri; ve ne sono di più «borghesi» ed altri più «di massa». Il prete che se ne occupa possiede, per parte sua, carismi ed attitudini particolari. Se ne terrà conto: si organizzeranno da una parte riunioni mensili di militanti, imitate dal tipo dei circoli di studio dei movimenti specializzati: altrove, la periodicità sarà meno regolare, ma l'incitamento sarà ogni volta più energico: altrove ancora, di fianco alla riunione dei militanti vi saranno adunanze dei genitori dei bambini del catechismo, oppure riunioni di distrazione familiare, dove i militanti invitano le famiglie del quartiere a passare insieme un pomeriggio nella sala parrocchiale, con qualche divertimento.

Avete dunque uno «stato maggiore» di militanti?

No, certo. Noi riteniamo necessario concepire il lavoro coi militanti come molto spontaneo: e siamo convinti che l'amministrazione uccide la vita.

Se ci si imbarca nella distribuzione dei titoli, nella gerarchia e negli scartafacci, è finita al più presto, dopo aver «organizzato» ed essersi sistemati. Il parroco ha dato consegne: ciascuno ha detto la sua: si crede allora che il lavoro sia fatto e dopo qualche tempo ci si ritrova senza che l'opera apostolica sia progredita. Tutto è soltanto apparenza. Non si tratta di designare militanti ufficiali: si tratta di suscitare apostoli, in una corrente sempre aperta alle buone volontà, in un perpetuo divenire, dove si va sempre avanti, dove ci si preoccupa più del lavoro effettivo da compiere che dei rendiconti da redigere o di “satisfecit” da distribuire.

Questo esige — noi crediamo bene d'insistervi — una grande comprensione da parte del clero ed una grande elasticità nella realizzazione. Non bisogna che i vicecurati vogliano fare il loro lavoro indipendentemente dal curato, né che questi soffochi le loro iniziative. Non bisogna che la presenza del parroco sia necessaria dovunque. Bisogna che nessuna questione di preminenza o di rivalità nasca fra i preti della parrocchia e che nessun litigio intralci la loro opera d'apostolato. Lo spirito squadristico evita questo pericolo. Ci torneremo su.

Non c'è da temere un accavallamento ed una confusione fra i militanti della parrocchia e quelli dei movimenti specializzati?

Accavallamento, sì: confusione, no. È evidente che per i nostri militanti del M.P.F., ad esempio, non è molto semplice non confondere la loro missione con quella dei militanti della parrocchia, non compromettere l'una con l'esercizio dell'altra, agli occhi di coloro che essi vogliono raggiungere. Ma ciò è realizzabile secondo certe condizioni.

Anzitutto noi comprendiamo che vi sono attività che essi non possono avere. Lasciamo loro la più ampia libertà su questo punto: e parimenti non bisogna tirar troppo la corda alla loro abnegazione: se questa non cede, ne può però andare di mezzo la loro salute. Siamo dunque ragionevoli. I nostri militanti specializzati sono sempre i migliori e fanno presto a distinguere, e a far distinguere dalle famiglie che essi vogliono influenzare, ciò che riguarda il loro movimento e ciò che riguarda la parrocchia. Terranno, per esempio, in casa loro le riunioni familiari a cui non interviene il prete: vi inviteranno gli aderenti e i simpatizzanti del Movimento. Ed un'altra volta faranno un'adunanza di quartiere, alla quale inviteranno ad ascoltare il prete tutti coloro che essi sanno più prossimi alla verità cristiana. Sanno anche che, per questa riunione, non bisognerebbe andar a cercare quella tale famiglia presso cui quell'invito rovinerebbe tutta la loro influenza.

Insomma, si tratta di formarli, di non confondere tutto, di non voler amalgamare ogni cosa e condirla con una stessa salsa.

Quali strumenti di lavoro fornite ai vostri militanti?

Bisogna fornire loro non solo strumenti, ma anche occasioni di lavoro, perchè essi non possono inventarsi tutto. Possono parlare, influire sul loro contorno; ma certuni hanno il fiato corto e l'ispirazione di breve durata.

Come strumento, nulla è migliore d'un bollettino parrocchiale, purché non sia un semplice resoconto di feste, un lacrimevole appello per l'obolo del culto, ma uno strumento di propaganda cristiana. Abbiamo esposto le nostre idee parlando delle opere di propaganda. Commentando il bollettino nelle riunioni di militanti, si pone loro in mano un buon soggetto di discussione: così per i foglietti di cui abbiamo parlato.

Le feste, di cui trattammo nel nostro colloquio sulla liturgia, sono un'ottima occasione di azione apostolica per i nostri militanti. Essi possono invitare gli altri a venire in chiesa in quelle ricorrenze, poiché sanno che non corrono il rischio di condurli a spettacoli misteriosi, incomprensibili, che li disgusterebbero. Tutto, in quelle feste para-liturgiche, sarà attrazione ed insegnamento, dalla coreografia alle preghiere, alla predicazione semplice. I militanti potranno parlare con calore ed entusiasmo, perchè non avranno da temere una delusione.

Ritroviamo qui uno dei nostri grandi principii: la missione parrocchiale è un tutto: comporta tanto l'adattamento liturgico quanto quello apostolico. Entrambi vanno insieme e si spalleggiano.

Quale posto date alla famiglia nel vostro apostolato?

Il primo. E prima di finire questo capitolo dell'apostolato diretto — che, notatelo bene, è la chiave di volta di tutti questi colloqui — vorremmo insistervi sopra. Siamo persuasi che uno dei motivi per cui i nostri lavori di apostolato nel passato non hanno avuto un risultato proporzionato ai nostri sforzi, si è che esso non si è esercitato abbastanza sulla famiglia e per mezzo della famiglia. Ci sarebbe da farci su uno studio.

I nostri gruppi di giovani devono non solo preparare alla famiglia, ma anche preparare delle famiglie. C'è forse da scoprire tutta una «politica matrimoniale». Un'azione molto intensa deve essere esercitata sulle giovani famiglie, che hanno da risolvere problemi speciali ed affatto nuovi e che fra qualche anno saranno le chiavarde della società. I nostri catechismi hanno una ragione d'essere assai maggiore, se ci permettono d'esercitare un'influenza sui genitori. Le nostre cerimonie debbono essere familiari. Perchè separare sempre in chiesa uomini, donne, adulti, giovani, bambini? Perchè non insistere, affinché i bimbi del catechismo vengano coi loro genitori ed affinché alla messa parrocchiale e alle feste serali ci si collochi per famiglie?

I nostri gruppi e specialmente le nostre opere stanno ben attenti a tutto ciò che può nuocere alla vita di famiglia. Senza dubbio questa non è molto vivace nei nostri ambienti popolari: ma si può credere che si vincerà il male dando al popolo dei surrogati?... In questo stesso ordine d'idee, si vede come le riunioni di militanti di quartiere, e quelle a domicilio, favoriscano questo apostolato familiare. Non sarebbe già l'indizio che esso è maggiormente nella vita, più conforme ai desideri del Creatore?

I vostri militanti devono essere stracarichi di lavoro...

Come tutti i militanti di tutte le cause. A questo riguardo vorremmo però lanciare un'idea che ci è cara. Essa vale quel che vale: altri — non noi — la realizzeranno un giorno.

Noi abbiamo magnifiche congregazioni religiose, adatte a tutte le abnegazioni e a tutte le cause: orfanotrofi, malati d'ogni genere, poveri, vecchi, incurabili, convitti, ecc... Molte ci forniscono preziose ausiliarie nel nostro ministero parrocchiale.

Avete notato che non ce n'è una che abbia per unico scopo l'apostolato diretto? Quale è la congregazione i cui membri passino il tempo andando a parlare di Cristo di porta in porta, di famiglia in famiglia? Si direbbe che bisogna assolutamente farsi perdonare il proprio titolo religioso, che non si può entrare in una casa se non al coperto di una carità da farsi, di un'iniezione o di una medicazione ad un malato, oppure per custodire i bambini. Perchè non potrebbero esserci nei nostri quartieri suore in abito secolare o regolare, o laiche «esentate» stipendiate dalla parrocchia, le quali potrebbero passare la giornata seguendo le famiglie, esercitando un'influenza diretta? Sarebbero come «assistenti sociali» sul piano religioso. La Missione di Parigi ha cominciato e i suoi membri hanno un lavoro enorme. Non esistono nelle nostre parrocchie settori abbastanza pagani ed impenetrabili per occupare l'attività di eccellenti missionarie? Non è ciò che fanno le nostre missionarie d'Africa o di Cina, con certi corpi di catechisti? Sarà, da noi, solo l'Esercito della Salvezza ad osare di portare, da un crocicchio all'altro, la testimonianza? ad osare di portare, da una porta all'altra, da un pianerottolo all'altro, il libro del Vangelo?

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