Ricevete anche in casa vostra chi vuole vedervi?

Sì; ma attenzione! Bisogna che in casa nostra nulla sconcerti l'ambiente popolare. E in questo campo non insisteremo mai abbastanza sull'importanza dell'arreda-mento e dell'andamento generale della nostra vita domestica. Noi non facciamo attenzione (perchè ben altri ne abbiamo visti in case borghesi) a quell'aspetto abbastanza «confortevole» (non parliamo del lusso, che del resto è rarissimo) che riveste forse la nostra camera. Ma i nostri operai capiscono bene che non è come in casa loro, ed infatti non si trovano in casa loro.

Un confratello si stupiva con don Godin, perchè i giovani non salivano volentieri nella sua stanza.
— È troppo borghese — rispose don Godin.
— Eppure, i miei mobili sono semplicemente di legno bianco...
— Forse: ma sono impeccabilmente puliti e tutto è troppo lucido. In casa mia, tutto è un po' in disordine: perciò i giovani vi si trovano a loro agio, senza timore di smuovere o sciupare qualcosa.

Quante camere di preti, senza essere di lusso, sono però accoglienti, semplici, familiari, operaie, insomma! Forse ci vogliono sacrifici per renderle così: ma perchè no? Nulla di demagogico in questo sforzo, perchè non si tratta di captare la simpatia per un profitto clericale, ma di far amare il vero volto di Cristo, od almeno di non tradirlo.

Voi fate vostra la consegna di Maritain: «Sentire col popolo».

Certo! Cristo in mezzo al suo popolo: ecco quel che dovremmo essere. È ben altra cosa che il pontefice nel suo stallo! È l'amico nella casa, nella strada, quello che partecipa alle gioie e alle pene d'ogni giorno, quello che «sente col popolo» come per istinto. Quando il prete è presente nelle vie sinistrate, durante i bombardamenti: quando partecipa alla lotta contro l'invasore: quando si unisce al popolo nei giorni della liberazione, il popolo lo sente veramente come «suo» e la strada all'apostolato diretto è aperta.

Quando vi fu il primo bombardamento del quartiere, eravamo sulle macerie appena fu partito l'ultimo areoplano. Non avemmo l'impressione d'essere stati notati; ma già all'indomani ci sentimmo dire:
— Vi abbiamo visti passare: eravate i primi.
E la riflessione di quel poliziotto che, pochi giorni dopo, voleva applicare ad uno di noi la consegna di non penetrare nei luoghi colpiti? Siccome il prete gli spiegava che doveva andare da un sinistrato, l'agente gli rispose:
— Ah! è vero, io non sono del comune; ma nel quartiere tutti dicono che solo voialtri preti avete fatto realmente qualche cosa.
Al momento della Liberazione, il P.C. della Croce Rossa — e per lo più di quindici giorni il P.C. della Resistenza — erano nei nostri locali. Eravamo notte e giorno a contatto coi gruppi che montavano la guardia. Perciò, quando venne il momento di iniziare la Liberazione (la retroguardia tedesca era ancora in casa nostra il mattino del 26 agosto) avevamo l'impressione d'essere il centro di tutto il nostro popolo e ci pareva che tutti attendessero il nostro segnale per metter fuori le bandiere. Al primo tocco di campana, la strada fu tutta piena. Bastò una parola, perchè tutta quella folla (donne a capo scoperto, uomini in maniche di camicia, e persino i cani) si riversasse nella chiesa e cantasse in un sol coro. Attimo indubbiamente eccezionale, ma che tuttavia dimostra come la gente fosse con noi; nei giorni precedenti, noi eravamo stati con essa, frammisti ai gruppi durante il pomeriggio, chiacchierando con tutti. La domenica dopo, mentre celebravamo la Messa sul piazzale alberato del Municipio, non ci pareva di fare niente di straordinario, ma semplicemente qualche cosa di coerente alla settimana che si era vissuta insieme.

A parte questi contatti che si offrono da sé, ve ne sono altri provocati da voi?

Sì, e sono i più numerosi: quelli che non basta prendere, ma che bisogna organizzare. Sono le visite che andiamo a fare ai nostri parrocchiani. Per i preti di parrocchia, nessun ministero s'impone con maggior evidenza. È lì che il parroco (colui che ha «cura d'anime») e i suoi collaboratori possono raggiungere l'immensa folla dei parrocchiani che non vanno in chiesa. Era uno dei grandi ministeri del Curato d'Ars. E noi sappiamo che moltissimi preti lo realizzano — senza parlare della campagna — nelle parrocchie di provincia. È ciò possibile nelle nostre parrocchie della «banlieue»? Sì, a patto che il parroco non pretenda d'arrogarsi tutte le visite e si associ i collaboratori per tale lavoro. Naturalmente non s'incontreranno tutti i parrocchiani: vi saranno degli assenti: ma si ritornerà, ed intanto ciascuno saprà dai vicini che il parroco è venuto a fargli visita. Questo richiede tempo, molto tempo, s'intende: questa volta, però, è un tempo ben utilizzato, non per imprese più o meno extra-apostoliche, ma per la predicazione diretta del Vangelo.

Non pensiamo infatti che tali visite debbano avere lo scopo di stringere la mano, di domandare notizie della famiglia. ed ancor meno di parlare di tutto un po', tranne che di religione, per timore di spaventare coloro che andiamo a visitare.

Qualche parola d'introduzione, di tipo amichevole, sta bene; ma infine la nostra gente si aspetta dal prete che parli del problema religioso e resta meravigliata (e forse anche un po' scandalizzata) quando un prete va da essa e se ne torna via senza essere entrato nei temi che formano la sua ragione d'essere.

Come fate?

Vi sono parecchie maniere di fare queste visite. C'è il metodo semplicista, che consiste nel prendere strada per strada e casa per casa, andando di porta in porta senza un pretesto, senza un fine preciso da enunciare, tranne quello di fare conoscenza. Praticamente, nelle nostre grandi parrocchie, questo metodo è impraticabile; esige troppo tempo dando frutti troppo scarsi: una vaga simpatia, qualche iscrizione di fanciulli al catechismo (e questi fanciulli non persevereranno) e basta così.

C'è un altro metodo, che consiste nel servirsi dei militanti e nel farsi informare da essi. I militanti conoscono i loro vicini e possono suggerirci quel che si deve o che non si deve dire: nella tale famiglia sono dei bambini che non perseverano più: nella tal altra c'è un vecchio da seguire: una famiglia che praticava, adesso non pratica più: un'altra invece comincia a farsi vedere in chiesa, eccetera. Così il prete non va a tentoni: sa come comportarsi e, se l'accoglienza è alquanto fredda, sa che è piuttosto questione di temperamento che di convinzione da parte di chi lo riceve: sa come presentarsi e quale obbiettivo preciso deve raggiungere nella sua visita. Vi diremo tra poco come, all'epoca delle nostre «missioni di quartiere» siamo stati condotti ad intraprendere visite da porta a porta, con uno scopo ben netto.

Un'altra idea ci fu suggerita dall'articolo d'un confratello, parroco di Nizza: quella di fare riunioni a domicilio. Perchè non , riprendere la pratica degli Apostoli, che riunivano in casa dei primi convertiti tutti coloro che volevano ascoltare la predicazione del Vangelo? Si stabilisce una data con un militante: egli invita per quella sera i suoi vicini ad una riunione in casa sua, dove interverrà un prete, che parlerà di religione. Alcuni rifiutano, si capisce; ma molti vengono, perchè quell'incontro non ha nulla di compromettente o d'ufficiale. All'ora fissata, il prete è lì e comincia la conversazione. Talora s'inizia ex abrupto, all'incirca in questi termini:
— Cominciamo ora la riunione. Non vi stupirete certamente di sentire un prete parlare di religione: è questa la nostra missione, la nostra vocazione; abbiamo consacrato ad essa la nostra vita e desideriamo solo dividere con gli altri la luce che abbiamo ricevuta; unica passione nostra è quella di dare agli altri la felicità di conoscere, di amare Cristo. Abbiamo, per questo, abbandonato tutto: la famiglia, un mestiere, l'avvenire. Speriamo in un'unica cosa:  di fare del bene alle vostre anime.

Pronunciate con semplicità e con tutto l'accento di sincerità che un cuore di prete può mettervi, queste parole, o altre simili, attirano l'attenzione e la simpatia. E così, per un'ora e mezzo, la conversazione si svolge facilmente su un soggetto religioso. Bisogna ogni tanto rallentare con elasticità le briglie a qualche digressione: bisogna anzi provocarla. Da principio, l'atmosfera è un tantino pesante; ma poi le lingue si sciolgono, le obbiezioni si fondono, e si deve interrompere ad ora avanzata, il che è un'ottima esca per un prossimo incontro. Spesso, se gli ospiti sono accorti, la discussione si prolunga quando il prete se n'è andato: buona occasione per il militante per formarsi e per acquistare influenza sul suo ambiente.

Non si vada a dire che queste riunioni sono casi speciali. Esse comportano infinite modalità. Sarà, per esempio, un raggruppamento di vicini (è il caso più facile e più frequente), o una riunione di amici, di parenti più o meno prossimi. Certe famiglie di lavoratori si raggruppano una sera per ricevere il prete: oppure sono adunanze specializzate di giovani, di ragazze, d'uomini, di bambini del catechismo, di madri che vogliono discutere col prete problemi d'educazione, ecc... Si tengono per lo più alla sera, dopo cena; ma possono anche aver luogo nel pomeriggio della domenica. In fin dei conti, i militanti sono fieri di organizzarle, e la gente le richiede. Essa ha da fare molte domande, che non ha esposte la prima volta, perchè non conosceva il prete, ed alle quali vorrebbe ricevere una risposta. Si possono persino prevedere riunioni «istituzionali» per alcuni che desiderano studiare una questione in modo più continuato. Si raggiunge così, sotto una forma diretta e personale, in un vero circolo di studio a domicilio, molta gente che non verrebbe mai in chiesa.

Senza dubbio il vostro ministero vi fornisce l'occasione di altre visite.

Sì: molteplici occasioni. In sagrestia c'è un affisso mortuario: perchè non andare a portare le proprie condoglianze alla famiglia? Un battesimo è annunciato, o è stato dato: eccellente occasione per recarsi dai genitori. C'è un progetto di matrimonio: perchè il prete incaricato dei matrimoni non affiderebbe a quello incaricato del quartiere dove abitano i futuri sposi un regaluccio qualunque da portar loro? Ci sono anche le feste: all'avvicinarsi dell'Ognissanti, le famiglie che durante l'anno hanno avuto dei morti in casa non si stupiranno di una nostra visita per invitarle a venire a pregare per i loro defunti. È facile allora decidere una vedova o una mamma a venire ad offrire la messa per l'anima d'una persona scomparsa... Oppure è la festa delle Madri, o una giornata di preghiera per i prigionieri, o la Comunione solenne, od altro ancora.

Siete ben accolli?

Diciamo in primo luogo che generalmente c'è un terzo di assenti. Quelli che si trovano in casa, in parte rimangono stupiti della nostra visita. Talora l'accoglienza è un po' fredda, specialmente nell'ambiente borghese; ma dovunque la gente è cortese: in maggioranza, è cordiale, sia nell'ambiente borghese come in quello popolare. Vedendoci comparire, nessuno si è mai meravigliato di sentir abbordare da noi la questione religiosa. I nostri fedeli o... i nostri infedeli se l'aspettano: appena entriamo ed... osiamo, ci riusciamo senza sforzo. Ahimè! come si ha ragione di dire che le anime si perdono per la nostra timidezza! In quanti casi manchiamo di audacia, specialmente davanti agli uomini! Quanti seminaristi, che avevano preso un considerevole ascendente sui compagni di caserma, una volta preti non hanno più il coraggio d'affrontare gli uomini! È bensì vero che di solito essi ci dicono subito:
— Ah! voi venite per la religione... Aspettate: vado a chiamare mia moglie.

Bisogna allora avvertirli che questo riguarda essi pure, e per la maggior parte del tempo essi stanno ad ascoltare e s'interessano della questione.

Come deve essere assorbente questo ministero!

Sì, ma è il lavoro d'evangelizzazione propriamente detto. Si è in piena opera sacerdotale: perciò la partenza — quando si tratta delle missioni di quartiere in squadra, di cui parleremo tra poco — è preceduta da una breve adorazione in chiesa, dove la squadra sacerdotale si unisce fervidamente a cuore a cuore con Colui che essa sta per tentare di far meglio conoscere.

Notate bene — e già l'abbiamo detto — che d’altronde, per realizzare questo ministero, il parroco non deve pretendere tutto per sé. Nelle nostre parrocchie superpopolate, si deve dividere la parrocchia in settori e affidare la responsabilità di ciascuno di essi ad ogni prete della squadra. Qui, però, ci si intenda bene: la parrocchia non deve essere divisa come una torta, in tante parti quanti sono i preti a lavorarvi, in modo che ognuno se ne occupi «esclusivamente». Questo potrebbe essere pratico per il lavoro del prete, ma presenterebbe inconvenienti di fronte ai militanti laici cui chiediamo d'aiutarci, come fra breve diremo. Si tratta piuttosto di considerare la parrocchia secondo gli ambienti etnici che la compongono, e di dividerla in settori che «formino quartiere».

Credete che sia necessario decentrare?

Sì: le nostre parrocchie sono troppo estese e popolate per le nostre possibilità di conoscenza. Attualmente il sangue non arriva più alle estremità di quel corpo troppo vasto. Nel Medio Evo, in città infinitamente meno numerose, c'erano assai più luoghi di culto. Visitando una vecchia città, si è colpiti — specialmente esaminando un piano che risalga al secolo XVI — vedendo come le chiese e i monasteri si toccassero. Oggi abbiamo una sola chiesa per 25.000, 50.000, 90.000, e talora persino 120.000 abitanti. Come sarebbe essa una realtà vivente per tutta questa gente? (1).

Il cardinale Verdier, creando i suoi famosi «cantieri» credeva che dalla moltiplicazione dei luoghi di culto sarebbe derivata quella dei cristiani: e l'esito gli ha dato ragione. Sarà necessario proseguire in questo senso. Si può inoltre constatare che il numero dei preti accordati ad una parrocchia è in funzione non del numero delle persone da evangelizzare, ma di quello dei praticanti; due parrocchie la cui popolazione sia la stessa avranno l'una diciotto sacerdoti e l'altra cinque e quella che ne avrà diciotto, sarà precisamente la parrocchia dove la popolazione è già conquistata nel suo insieme. Si capisce benissimo perchè le confessioni, le funzioni, e via dicendo, siano in essa più importanti che nell'altra e che ci voglia molto personale. Ma l'opera missionaria e le sue esigenze sarebbero meno urgenti?

Intanto è possibile usare più razionalmente per l'apostolato diretto i collaboratori che si hanno. Nella maggioranza delle parrocchie come già abbiamo sottolineato, i viceparroci sono carichi di opere, ciascuno per conto proprio, e solo il parroco s'interessa all'insieme della parrocchia. II risultato di questa divisione del lavoro è da un lato che il lavoro è parallelo e spesso pochissimo comunitario, e dall'altro che soltanto un piccolo numero di fedeli ne è l'oggetto (spesso gli stessi, perchè, contrariamente ai principii della geometria, quelle parallele s'incontrano...) e che nessuno si occupa dei non fedeli, quelli che bisognerebbe raggiungere. Se invece, riducendo al minimo le opere, la parrocchia è divisa in quartieri etnici (otto, dieci, quindici, secondo il caso) ripartiti fra i cappellani secondo il loro numero, avendo il parroco i suoi, ogni prete ha davanti a sé un campo d'azione, dove ha l'obbligo di fare missione. Tutti insieme, i preti studiano i problemi che si offrono a ciascuno e combinano la loro azione.

Si vede facilmente che questo modo di fare offre possibilità missionarie, come permette quel lavoro che, altrimenti, sarebbe irrealizzabile, o quasi: si vede anche il gusto, l'interesse che esso dà subito ad ogni sacerdote che arrivi in parrocchia, con le iniziative che gli offre e col sentimento di partecipare ad un'opera comune.

Nel medesimo tempo, la decentrazione permette ad ogni prete di formare i militanti del suo quartiere e di farli lavorare in esso. E i militanti possono dirgli quali sono i fedeli che potrebbero diventare militanti, quali sono i praticanti che occorrerebbe scuotere, i simpatizzanti che si potrebbero attirare, ecc... Il loro apostolato diviene reale.

Anche qui è chiaro che il parroco non deve presentare il suo modo d'agire come uno schema valido per tutti i suoi collaboratori. Permetta ad essi di prendere iniziative e si rallegri anche di vedergliene prendere di quelle che egli non ha mai avute! Da un quadriennio, noi abbiamo avuto ogni anno un giovane prete che passava dodici mesi nella parrocchia: per non sovraccaricarlo, gli abbiamo affidato un solo quartiere. Bisogna riconoscere che, sotto l'influsso dello zelo di quei giovani, in quei quartieri difficilissimi si è fatta una penetrazione che una maturità più avanzata avrebbe forse faticato a realizzare. E quale gioia per un giovane sacerdote, quale sentimento di pienezza nell'apostolato deriva da ciò! È una cosa ben diversa che se si sentisse rintanato in un'opera di fanciulli.

Come abbiamo detto, però, questa decentrazione non è fatta unicamente per applicare ciascun prete alla missione: è fatta anche per promuovere il lavoro di tutta la parrocchia. Infatti, uno dei primi principii nel campo dell'apostolato diretto è quello enunciato da S. Em. il cardinale Suhard, al suo arrivo nella diocesi di Parigi:

 Bisogna che l'intera parrocchia sia missionaria; bisogna che la comunità parrocchiale serva alla conquista.

 


NOTE

(1) Ci sono, sì, le cappelle e rendono servizi. Saremmo ben meschini. se le considerassimo rivali, dato che non bastiamo quasi alla nostra missione; ma esse non saranno mai il luogo di raduno della comunità cristiana. Questo luogo naturale è la chiesa parrocchiale. E perchè noi abbiamo il diritto di dirlo, bisogna ancora che vi si trovi un'atmosfera comunitaria...

 

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