2 - I MOVIMENTI SPECIALIZZATI

Non avete sinora parlato dei movimenti specializzati e del posto che date loro nella parrocchia missionaria? Applicate loro le riserve che avete fatte per le opere?

No davvero! Sebbene si faccia spesso una confusione di parole (non è forse la «direzione delle opere» il P.C. ecclesiastico dei movimenti specializzati nella maggioranza delle diocesi?), essa non esiste né nel nostro pensiero, né in quello di chi riflette su questi problemi.

I movimenti specializzati segnano storicamente un considerevole progresso sulle opere. Sono tutt'altra cosa, a patto però che siano organizzati localmente così come sono stati concepiti dai loro fondatori e dai Sommi Pontefici. Questi li vogliono: esigono che si dia loro il diritto di cittadinanza, che siano considerati come la formula tipica dell'azione cattolica, cioè dello sforzo di penetrazione del pensiero cristiano in tutti gli ambienti ed in tutte le istituzioni, per mezzo di cristiani convinti divenuti militanti nel loro proprio ambiente: il quartiere, il laboratorio, l'ufficio, ecc...

Quale bene hanno realizzato, a parer vostro?

Hanno valorizzato la verità che il cristianesimo deve essere incarnato; che non si svolge solo in chiesa, ma in tutta la vita; che per predicare Cristo non basta dire «Venite a messa», ma bisogna trasformare le condizioni di spirito di tutta una popolazione nel luogo stesso dove essa si muove quotidianamente e su tutti i problemi che occupano la sua attenzione: problemi del lavoro, del piacere, della famiglia, ecc... Hanno così creato di nuovo un realismo cristiano, e di quella religione che minacciava di diventare eterea e di sfumare hanno contribuito a rifare una religione in piena vita, che non interessa solamente l'al di là, ma anche il presente. Come in tante altre circostanze della storia della Chiesa, la vita ha qui preceduta e generata la tesi: dal movimento giocista (e poi da quelli che hanno adottate le sue formule) sono nati quegli innumerevoli lavori che hanno rimesso in luce i temi più essenziali di San Paolo. Con le loro esigenze hanno spinto i teologi a rifare la sintesi del soprannaturale e del naturale. Più d'ogni altro, hanno strappato la Chiesa di Francia dalla mediocrità malinconica della polemica difensiva e le hanno ridato lo spirito di conquista, il dinamismo e la gioia. A causa di essi, molti preti hanno ritrovato l'autentico apostolato e si sono affacciati su realtà che ignoravano, e specialmente sulla mentalità operaia, con la quale hanno ripreso contatto. Hanno infine estratto dalla massa (diciamo soprattutto dalla massa operaia, poiché è vero e poiché essa ci interessa qui) magnifici prototipi di cristiani militanti, che hanno creduto in Cristo e l'hanno direttamente annunciato con coraggio e generosità.

I movimenti specializzati — e alludiamo in particolare alla J.O.C., alla J.O.C.F., e al Movimento Popolare delle Famiglie — sono dunque esattamente in linea con l'ideale missionario che noi vorremmo fosse quello della parrocchia.

Ed allora, come mai ci sono spesso disaccordi fra la parrocchia e i movimenti? Non accade ad essa di considerarli su per giù come dissidenti, o semplicemente come franchi tiratori, che si rispettano pur diffidandone un poco?

Sì, purtroppo: queste diffidenze provengono dalla falsa concezione della parrocchia che abbiamo criticata all'inizio di questo colloquio: la parrocchia ridotta ad «ambiente parrocchiale». In tale concezione, i movimenti non sembrano certo abbastanza «parrocchiali». Se tutto l'ideale consiste nell'avere affollata la chiesa, nell'organizzare belle cerimonie, nel raggrupparsi intorno al clero, si vedrà male la loro assenza nei giorni festivi.

Ci sarà qualche parroco che scaglierà fulmini contro la sua sezione di J.O.C., perchè i giocisti, partiti per un ritiro, non saranno presenti alla processione della prima domenica del mese. Se avesse della sua parrocchia il concetto missionario che noi preconizziamo, dovrebbe dire che quella processione è ben piccola cosa a confronto della giornata di ritiro, in cui i giocisti prenderanno più serio contatto con Cristo, per diventare maggiormente militanti nella sua stessa parrocchia. Quella giornata valorizzerà la parrocchia infinitamente meglio che la tradizionale sfilata intorno alla navata centrale.

In una parrocchia missionaria, ogni elemento che si assenta da un ufficio che non sia la messa per fare opera di penetrazione (per esempio la giocista che, piuttosto di andare a vespro, preferisce uscire con una compagna da conquistare) fa opera parrocchiale di primo grado. Non avendoli capiti, si trattano i movimenti specializzati in modo che non solo non si utilizzano secondo il loro fine, ma si corre il rischio di scoraggiarli.

I risultati apostolici della loro azione sono importanti come se ne parla?

Sono senza dubbio assai considerevoli: tuttavia è chiaro che, dopo una splendida partenza e un lavoro duro di quindici anni, i movimenti operai cristiani esistono ancora allo stato sporadico e non sembrano rendere quanto avevano promesso. Ma di chi la colpa? chi abbiamo loro dato come elementi? Non abbiamo spesso esitato a lasciar loro — o meglio, ad orientare verso di loro come avremmo dovuto — i giovani più capaci di diventare militanti, preferendo conservarli per opere il cui rendimento era certamente meno missionario? Abbiamo fornito loro i direttori di coscienza dei quali avevano bisogno?

Basta aver talora parlato con militanti desiderosi d'essere formati alle profondità della vita spirituale e d'essere consigliati nella loro azione apostolica, per sapere come debolmente viene soddisfatto il loro appetito delle cose di Dio e quanta difficoltà hanno a trovare un prete che acconsenta ad interessarsi della loro anima e dei loro lavori... In queste condizioni, come si vuole che diventino sempre più dinamici sovrannaturalmente ed efficaci? Quanto tempo non consacra il prete a compiti che, neppur da lontano, hanno tale importanza? Non dovrebbe egli dare il meglio del suo tempo a quei giovani cristiani che si offrono per far penetrare Cristo nel mondo del lavoro? Opera immensa, per la quale essi hanno bisogno di quella forza, di quella verità che al prete sono affidate perchè le comunichi loro.

Diremo altrettanto per i circoli di formazione dei nostri movimenti specializzati. Quante volte, per non aver capito il senso esatto del movimento, i preti di parrocchia li hanno concepiti semplicemente come circoli di studio del patronato, i quali presentavano soprattutto il vantaggio di ricevere piani già fatti da un segretariato centrale? Il prete, che si direbbe incapace d'adattarsi alla formula nuova, la quale gli permetterebbe di fare da svegliarino, di far scoprire dai militanti le verità vive da incarnare nella vita quotidiana, incapace di suscitare le loro reazioni attive si rannicchia nell'atteggiamento tradizionale: parla, espone, predica: e i militanti ascoltano un sermone di più, rimanendo passivi: oppure, se diventano attivi e fanno domande intempestive, corrono il rischio di farsi rimproverare. Noi sentiamo spesso questo rimprovero rivolto ai circoli giocisti: — Non formano.

Che cosa s'intende con ciò? Se si vuol dire che non danno una cultura letteraria o filosofica, siamo d'accordo: ma si tratta proprio di questo? La cultura non è essenzialmente «ciò che permette ad un uomo di situarsi nella vita», di dominare col suo giudizio gli avvenimenti e i fatti? Ora, «l'inchiesta» giocista non è un meraviglioso mezzo di formazione per ottenere questo risultato?rsi che vi si parlasse di tutto. Spesso è anzitutto colpa di quei confratelli, che sono i primi ad allontanare la conversazione dal soggetto dell'inchiesta. Ma comunque avvengano queste deviazioni, non bisogna convenire che i frammenti di vita, i fatti portati alla rinfusa dai nostri giovani, senza un ordine ben definito ma nel fremito della scoperta, offrono al prete un mezzo di dare il senso cristiano più potentemente che con spiegazioni ben ordinate?

Taluni confratelli hanno voluto tentare di fondare, di fianco al circolo di studio giocista, quello che chiamavano un circolo «di formazione», dove diffondevano la dottrina a brani. Per lo più questi:

  • - Non danno che un insegnamento sporadico: come fare diversamente in un circolo tutt'al più quindicinale?
  • - La loro esposizione d'una perfetta dottrina è così astratta, che i giovani uditori non ne afferrano gran che e in ogni caso sono incapaci di applicarla alla loro vita.
  • - Quando riescono ad interessare i giovani alle loro esposizioni, è per lo più un disastro per quei giovani, che prendono allora gusto agli studi e alla «cultura», a danno dello spirito di conquista e del contatto con la vita e con la massa.

In queste condizioni, nulla di strano se la sezione di J.O.C. si ferma rapidamente, intristisce e cade nelle file delle opere non missionarie: una di più!... Quando il curato, desideroso innanzi tutto di una certa «unità» parrocchiale, estesa a modo suo, esige per di più che la sua sezione si aggreghi al patronato, si è fatto l'ultimo passo: la J.O.C. è incorporata nell'ambiente parrocchiale: annientata e resa inoffensiva... Bisogna anche capire che la forza dei movimenti specializzati risiede nel non essere essi «clericali», mentre invece rimettono risolutamente una parte dell'azione apostolica nelle mani dei laici, formati dal prete, beninteso (altrimenti sarebbe l'anarchia dottrinale e la porta aperta all'eterodossia), ma liberi nella loro propria attività, e quindi più adatti a penetrare gli ambienti più impenetrabili all'influenza cristiana.

I laici non sono solo nostri «supplenti» per giungere là dove noi non possiamo e per condurre a noi coloro che ci sono troppo distanti. Come membri del Corpo mistico di Cristo, hanno una missione da compiere: devono predicare Cristo a modo loro, che non è il nostro. Se togliamo loro questa libertà di procedere, se li dirigiamo e li proteggiamo come bambini delle nostre opere, li priviamo del loro dinamismo, arrischiando di comprometterli e di paralizzare quel lavoro d'avvicina­mento, di «corpo libero» che è il loro. Troppi parroci non hanno fatto questo con le loro sezioni giociste?

Queste riflessioni non richiedono una revisione? I movimenti specializzati popolari non meritano proprio nessun rimprovero?

Certamente, poiché talora da parte loro c'è uno snobismo d'indipendenza dal prete, una suscettibilità non sempre giustificata, che si conclude in un impoverimento: o per meglio dire, ad una povertà, ad una privazione sul piano delle verità dottrinali, ad un'azione magramente cristiana, perchè insufficientemente nutrita di sopran-naturale. Essi dimenticano alle volte che il prete ha per loro un sacro deposito, che essi devono sfruttare e di cui devono esigere la trasmissione. Non è vero che i movimenti popolari non evitano sempre lo scoglio che si nasconde sotto la loro legittima volontà d'«incarnazione»? che la J.O.C. si limita talora ad un'amicizia o ad una lotta per il miglioramento delle condizioni di vita dei giovani lavoratori? che il Movimento Popolare delle Famiglie arrischia di limitarsi all'organizzazione dei servizi di mutuo soccorso?

Certo, noi non abbiamo riguardo di misconoscere che la loro originalità e la loro forza propria siano in quell'incarnazione: per esser suscettibile di diventare cristiana, la vita deve essere anzitutto umana: un clima di vera umanità deve essere nuovamente creato da coloro che vogliono far passare Cristo in un ambiente o in un quartiere popolare; e i militanti operai cristiani hanno pienamente ragione di consacrare a ciò le loro forze. Tuttavia, noi temiamo che in certi casi vi sia svalutazione della «mistica» primitiva. «Noi rifaremo cristiani i nostri fratelli» — nel lavoro e col lavoro, beninteso, in famiglia, nel laboratorio, nella strada, dovunque si svolge la vita umana — ma «cristiani»; questo è lo scopo, che non è prima filantropico, ma innanzitutto soprannaturale. «Vogliamo Cristo dappertutto». La carità, la giustizia e le altre virtù sociali devono uscire da Cristo vivente nei suoi membri militanti: se si inverte quest'ordine, c'è il pericolo di non superare l'umano e l'apostolato missionario non è realizzato.

Abbiamo anche incontrato un altro ostacolo che, per essere nascosto, tuttavia è abbastanza diffuso. Esso minaccia i movimenti specializzati nel loro fine più caro, cioè la conquista della massa. Quante volte, per raggiungere questa massa, i nostri giovani e le nostre ragazze vanno verso i più diseredati sul piano spirituale e sopra ogni cosa si preoccupano di condurli in gran numero! vogliono a tutti i costi che nelle loro assemblee generali, nelle loro serate di adunanza, siano molto numerosi. Ma spesso quelle riunioni sono veri colini: i giovani vengono, ma non ritornano: quelli che ritornano, spesso vi trovano solo un passatempo. Raggiungere la massa è diventato per i nostri militanti un'attività come le altre: si dimentica lo scopo essenziale, si cerca di avere folla, non ci si preoccupa abbastanza dell'ascesa, della cristianizzazione di tutti quelli che si raggiungono. Anche lì l'attivismo giuoca un brutto tiro all'azione cattolica propriamente detta. Anche lì si dimentica l'essenziale che è il contatto fra anima ed anima.

Abbiamo visto sezioni, che hanno fatto parlare molto di sé perchè raggiungevano un considerevole numero di giovani o di ragazze, girare in tondo e liquidarsi presto con passività. Diremo persino che questo attivismo presso la massa è un pericolo molto reale. Nelle opere dette «di formazione» possiamo arrivare — per il fatto che garantiamo in esse i loro membri contro i pericoli dell'esterno — a conservare ed anche a formare un certo numero d'elementi mediocri; ma se i nostri movimenti specializzati mettono mediocri elementi a contatto con la massa senza dar loro dinamismo bastante per conquistarla, è spesso la massa che deprava questi militanti di qualità inferiore. Riserveremo allora questa azione ai militanti di valore superiore? Oh, no! Faremmo perdere ai movimenti specializzati tutto il loro pregio. Ma noi, che siamo i custodi dello spirito e che dobbiamo essere sempre l'anima dei movimenti laici, dobbiamo badare di non lasciarci trascinare dal lavoro esterno e di mantenere le nostre sezioni nella vera prospettiva dello scopo da conseguire.

Insomma, noi ci permettiamo di dire ai nostri militanti popolari:
— Fate attenzione a non cadere «nell'amministrazione»! Non lasciatevi prendere la mano dagli scartafacci, dai rendiconti, ecc!... Non vegetate in un ritualismo di nuovo genere: adattatevi continuamente all'ambiente nel quale vi movete: non svalutate la mistica in ricette che sarebbero solo da applicare. Dovete senza tregua creare, ricreare, scoprire!...

E mediante ciò, voi credete che i movimenti specializzati possano effettivamente partecipare alla «missione » sul piano parrocchiale?

Sì: essi sono nella parrocchia preziose «avanguardie» che preparano il terreno e lo occupano, che rendono testimonianza di Cristo nella piena realtà quotidiana ed insegnano alla massa che cos'è un cristiano, infinitamente meglio che il pio gregge delle funzioni vespertine.

Noi preti di parrocchia dobbiamo capirlo, per dare un pregio speciale al loro lavoro e per non trattarli secondo lo schema che usiamo di solito. Il nostro «borghesismo» istintivo, l'abitudine che abbiamo di frequentare l'ambiente borghese, d'essere oggetto di riguardi e di precauzioni oratorie, ed anche la nostra consuetudine di comandare ad un gregge fedele che s'inchina almeno pro forma quando parliamo, minacciando di farci prendere di fronte ad essi, degli atteggiamenti che quelli non capiscono e che li paralizzano. Noi ci urtiamo perchè ci parlano senza mettersi i guanti: non ne hanno, e noi dobbiamo rassegnarci. Ci urtiamo perchè organizzano una festa senza pensare di chiederci una preventiva autorizzazione: bisognerebbe prima vedere il movimento di ardore di conquista che li ha indotti ad organizzarla! Noi cediamo ai nostri istinti di dittatori e per un dissidio gridiamo: — Sciolgo la J.O.C.!

Tutto per salvaguardare il nostro prestigio, sacrificando ad esso il regno di Cristo!

In un caso del genere, un parroco monta in cattedra, indossa la stola e pronuncia una fremente allocuzione:
— Qui comando io, e voi dovete obbedire.
Brandisce la stola:
— Ecco l'insegna del mio potere!
Nessuno conosce il simbolismo della stola e tutti ridono. Dov'è il risultato?

Bisogna capire che i nostri militanti hanno enormi preoccupazioni di apostolato diretto e non vedono per quali motivi si complichi il loro compito con questioni puramente formali.

Affinché i movimenti specializzati popolari abbiano tutta la loro efficacia parrocchiale, dobbiamo ad ogni costo integrare 1a loro azione nella grande corrente di conquista che è quella della parrocchia missionaria. Abbiamo senza dubbio dei fedeli che, per snobismo o per orgoglio o per timidezza, non vorranno entrare nei movimenti operai. Moltissime giovani dattilografe, pur uscendo da famiglie operaie, rifiutano di far lega con le giovani operaie, solo perchè hanno avuto una sottile vernice d'istruzione o perchè nella «Congregazione delle Figlie di Maria» hanno preso una falsa vernice di distinzione.

Noi conosciamo molti confratelli che cadono in trappola con rassegnazione e sono i primi a riconoscere naturali queste miserabili ragioni di vanità. No: noi dobbiamo far capire a quelle smorfiose che esse disertano il piano voluto da Dio, perchè non cercano d'irradiare intorno a sé e nell'ambiente stesso dove il Creatore le ha poste. Dobbiamo mostrare loro che non si può essere cristiane se non si è apostole.

Come integrare i nostri movimenti specializzati nel movimento parrocchiale? Ecco quel che abbiamo previsto presso di noi; il prete incaricato di un movimento, ad esempio della J.O.C., dirige il comitato e dà anche l'impulso generale alla sezione parrocchiale. Questa può avere parecchi circoli di studio: la loro animazione sarà affidata a ciascuno dei preti responsabili dei diversi settori della parrocchia: quel prete determinato sarà anche capace, meglio di chiunque altro, di spronare i militanti al lavoro di conquista. Evidentemente, l'ideale sarebbe che in ogni settore parrocchiale ci fosse una sezione di ciascun movimento: ma ciò presuppone un tale reclutamento da esigere troppi sforzi e troppo tempo prima di giungervi. Non è meno vero che molte parrocchie dovrebbero già avere parecchie sezioni. Come spiegare, per esempio, che una parrocchia borghese del sedicesimo circondario conta tre o quattro sezioni della I. I. C., mentre parrocchie dei sobborghi, più numerose, hanno appena una minuscola sezione della J.O.C.?

Capirete meglio, quando parleremo dell'apostolato diretto, in qual modo noi utilizziamo i nostri militanti laici. Siamo convinti che, senza affatto nuocere all'originalità propria di ciascun movimento, possiamo farli lavorare con grande efficacia per la «missione» parrocchiale.

Ma come ottenete l'unità fra movimenti così diversi, per far sì che tutti si sentano veramente «parrocchiali»?

Non in modo fittizio. Bisogna distinguere ciò che è distinto. Le possibilità della liberazione hanno permesso ai nostri movimenti d'esteriorizzarsi. Approfittiamone. Cerchiamo, per esempio, di capire che il posto d'un locale giocista non è in mezzo a sale di patronato. Se per venire ad una assemblea della J.O.C. bisogna che i simpatizzanti varchino la soglia delle porte d'ingresso della parrocchia, ecco di colpo compromessa l'azione di tutta la sezione. Bisogna trovare per i giocisti o M.P.F. un locale in città, dove si trovino in casa propria. Non bisogna aver paura di collocarli in pieno nella vita.

A Clichy, la sezione giocista (la prima di Francia) aveva il suo locale nel patronato. Un giorno i nostri militanti ci condussero tre giovani del popolo. Per alcuni mesi essi assistettero regolarmente alle riunioni e parvero migliorare. Parlavano dei loro compagni di quartiere e promettevano di diventare essi stessi eccellenti apostoli. Ma, ahimè!, venendo una sera all'adunanza giocista, si perdettero nella palestra: gli attrezzi ginnastici li tentarono e i ginnasti, credendo di fare dell'apostolato, li vollero attirare a sé. Da quel momento, i circoli giocisti non ebbero più eccessiva importanza per i tre giovani, i quali cominciarono a sognare soltanto esercizi fisici. Disgraziatamente, per ammetterli soci della società ginnastica bisognava applicare loro il regolamento, che prescriveva di frequentare le funzioni. Non si potevano fare differenze: se i tre fossero stati dispensati dalle funzioni, gli sportivi avrebbero subito abusato dell'esempio. Risultato: i tre giovani popolani non ritornarono più alla società ginnastica troppo clericale e si disinteressarono della J.O.C... Questo inconveniente non si sarebbe verificato se il locale fosse stato in città, indipendente da quello delle «opere» parrocchiali.

Non in maniera fittizia, dunque, ma in modo reale: stabilendo cioè contatti permanenti fra i capi dei vari movimenti. Ci vogliono incontri ad obbiettivi precisi, dove si studi insieme un caso di apostolato da organizzare, dove ciascuno può rappresentare la propria parte.