Incontrate difficoltà nel fatto del miscuglio di «classi» e di culture che si opera necessariamente nella Chiesa?

Nessuna. In una parrocchia popolare come la nostra, è di somma importanza che tutta l'atmosfera della nostra preghiera comune sia «operaia». Questo può far stupire, poiché la chiesa è il convegno di tutta l'assemblea cristiana, il luogo dove non esiste distinzione di classe. E certamente, dopo cinque anni di sforzi, le nostre cerimonie di Colombes non sono ormai più segnate da questa distinzione: ma noi abbiamo cominciato col dare loro come un colorito operaio. Bisogna infatti che non solo gli operai si sentano a casa propria in chiesa, ma che perdano l'impressione, data da tante altre parrocchie, che la religione è fatta per i «borghesi». Inoltre, se vogliamo che la preghiera li prenda in tutta la loro vita, che essa sia l'espressione delle loro pene, dei loro sforzi, delle loro gioie, dei loro bisogni reali, bisogna pure che vi si tratti, e spesso, della loro officina, del loro laboratorio, del loro banco di lavoro, del loro focolare, delle loro difficoltà per tirare avanti nella vita.

In una parrocchia operaia bisogna parlare della loro classe operaia. Immaginiamo quanto possono essere efficaci per loro degli inni come il seguente:

“All'inizio del giorno, s'eleva la mia preghiera,
L'opera delle mie mani sia benedetta da te, o Signore
Perchè tutti gli operai siano «edificati»
Da questo lavoro compiuto sotto il tuo sguardo divino”.

Oppure ancora questa strofa del medesimo cantico:
“O mio Dio, fate che oggi, nella classe operaia
Ci sia più pace, più gioia, e la vita sia più bella
E che fedelmente io mi sforzi di fare
Con tanto amore la tua volontà”.

E così pure nelle coreografie e negli addobbi delle feste, bisogna che il popolo ritrovi le cose di casa sua, della sua vita: evidentemente questo non vuol dire che siano cose triviali o di cattivo gusto.

E gli altri parrocchiani (i commercianti, i liberi professionisti, che non mancano certo nella vostra parrocchia) che cosa ne dicono?

Naturalmente qualcuno ha protestato: c'è persino chi continua a protestare;... ma son persone, che non hanno capito. Ma, che volete? una reazione ha sempre un carattere di reazione: per riuscire, dev'essere un po' forte. Quanto a noi, se esageriamo un pochino in questo senso, calcando più del necessario sulla vita operaia, siamo così sicuri che si ristabilirà l'equilibrio dopo di noi ed intorno a noi. Del resto, a poco a poco, tutto si sistema. Una volta rotto il ghiaccio — il ghiaccio del formalismo borghese — diventa assai meno necessario insistere sul carattere operaio della nostra preghiera in comune. Dal momento in cui i nostri operai si sanno «in casa loro», amati da noi, non hanno più bisogno che glielo facciamo sentire. Così tutto rientra gradatamente nell'ordine e la stessa liturgia popolare diventa la preghiera di tutti, il coro in cui si armonizzano tutte le voci.

Che cosa pensate dei chierichetti?

...Pensiamo che cento volte, nelle nostre visite a domicilio, abbiamo udito la stessa riflessione:

— Oh! sapete.„ Io ho fatto una cura di preghiere e di cerimonie per tutta la vita: sono stato chierichetto sino a 17 anni!...

Quale confratello non l'ha sentito dire come noi, e talora dalla bocca dei più accaniti contro la religione? Questo triste risultato ci fa riflettere. Se ogni domenica, e spesso in settimana, mobilitiamo i migliori bambini della parrocchia per arrivare a ciò, è certo meglio astenersene. Indubbiamente quelle parole sono spesso una scusa e la ragione invocata non è la vera causa dell’apostasia, ma bisogna tuttavia stare attenti a non aiutarla.

Uno dei primi motivi di questo smacco non sarebbe che, per il servizio dell'altare, noi cerchiamo troppo i «fanciulli savii», quelle graziose, piccole «nature morte» (o addormentate) che non farannomai uno scarto né in un senso né nell'altro, ma che troppo spesso mancano di personalità? Un confratello, al quale facevamo osservare ciò, ha avuto il cinismo di rispondere:  È vero: ma, caro mio, è fra quelli che troviamo le vocazioni.

Ah, questo poi no! Se il gruppo dei chierichetti deve essere una casta reclutata fra i «colli torti» o i «piccoli modelli», e questo allo scopo di darci vocazioni sacerdotali... grazie tante! Da noi, abbiamo ogni anno numerosi ingressi nel piccolo seminario (quindici in cinque anni, senza parlare delle vocazioni tardive): ma non sono tutti ex chierichetti, e specialmente non di quella categoria. Non si faccia del gruppo dei chierichetti, e soprattutto dei chierici, una casta chiusa. È così facile! tutto contribuisce a formarla: un reclutamento serrato, riti, riunioni numerose, una iniziazione complicata, e per di più l'impressione di una superiorità sui comuni fedeli.

Nulla di meglio per sottrarre i nostri fanciulli e i nostri giovani al loro ambiente e per togliere loro il senso della conquista. Ci rallegriamo nel vedere dei bambini che sanno a menadito i principii della liturgia, le regole della messa solenne e della Settimana Santa, o magari anche del Pontificale; ma che bisogno ne hanno? a che cosa servirà loro tutto questo nella vita operaia e per pregare nel loro futuro focolare? Noi li «ecclesiastichiamo» e niente altro: tanto più che, in fondo, non è difficile, perchè basta un po' di memoria e di contegno. È assai più duro mescolarsi a dei compagni di laboratorio, per guadagnarli al Signore, e compromettersi davanti ad essi, e darsi anima e corpo alla conquista d'un ambiente di lavoro. È molto più arido, più esigente, più ricco d'insuccessi. Allora, se noi proponiamo ai nostri giovani un'altra attività, fatta tutta di gesti, di atteggiamenti, un'attività che richiede solo un lavoro di memoria ed un po' di decoro, corriamo il gran rischio di vederne alcuni accontentarsene e perdere ogni senso apostolico.

Non esagerate?

Come lo vorremmo! Ma noi ricordiamo troppi esempi. Senza andare a cercare altrove, da noi, nella nostra parrocchia dove tutto sembra aperto alla conquista, dove la liturgia stessa è missionaria al cento per cento, ecco quel che accadde quattro anni or sono.

Avevamo lasciato ad un laico la cura di formare i nostri chierici, avvertendolo che chiedevamo loro assai meno di conoscere le rubriche che di essere edificanti per il contegno e per la regolarità. Il nostro giovanotto si dedicò tutto al suo compito, dimenticò un poco i nostri consigli e fece sostenere ai giovanetti ogni specie d'esame di cerimonie. Tutto andava bene, vero? Ebbene, in un giorno festivo, per una ragione d'interesse generale, non potemmo celebrare la messa solenne e dovemmo accontentarci di quella dialogata. Che cosa accadde? I nostri chierici scioperarono, affermando di non voler più servire in una parrocchia dove non ci sarebbe più stata la messa grande. Fu inutile spiegare loro che si trattava del bene generale, che eravamo in parrocchia missionaria, ecc... Nessuno poté convincerli: le anime da salvare, l'adattamento necessario per i parrocchiani, i sacrifici inerenti alla conquista, erano argomenti che non li riguardavano. Li interessava un'unica cosa. avevano imparato i riti della messa solenne e volevano applicarli. La loro soddisfazione personale, anzitutto; il resto non contava!

Come fare, allora? Bisogna sopprimere i chierichetti ed i chierici?

No: come faremmo per le nostre cerimonie? Ma in primo luogo bisogna guardare al bene della loro anima, prima di pensare al nostro proprio comodo, e non mobilitare, per esempio, dei poveri bambini sino a far loro servire due o tre messe di seguito, col pretesto che non abbiamo nessun altro per risponderci.

Ecco ora un altro modo di procedere che ci sembra assai migliore: l'abbiamo visto applicare con successo a Nostra Signora della Speranza. Non c'è nessun gruppo speciale di chierichetti e di chierici: tutti i bambini della parrocchia sono invitati a servire, e in realtà l'impulso è stato dato in maniera tale che, prima della messa, il prete incaricato di ciò ha solo da aprire la porta della sacrestia per avere l'imbarazzo della scelta. Ed infatti, fra tutti quelli che gli si affollano intorno tendendo le braccia, egli sceglie chi in quel giorno gli pare meglio disposto. Quindi, niente separazione, niente distacco di chierichetti, niente differenze, affinché a tutti resti l'impressione che il compimento dei riti non è tutta la religione.

Sappiamo anche ammettere che certi ragazzi dell'ambiente operaio non provino nessun gusto per questo genere di coreografie, e comprendiamo bene i no stri militanti operai, della I. O. C., od altri, quando non vogliono compromettersi agli occhi dei compagni indossando una sottana. Non serbiamo nessun risentimento a loro riguardo; sappiamo essere discreti. Alcuni non oserebbero rifiutare e soffrirebbero: altri accetterebbero senza vedere gli inconvenienti: in tutti i casi, la loro influenza potrebbe subirne le conseguenze.

Concludendo questo colloquio sulla Liturgia, vorremmo sottolineare che, se ha una grande importanza, non è tuttavia il principale nelle nostre riflessioni sulla parrocchia missionaria. Ora, spesso ci è parso, nelle conversazioni avute coi confratelli che ci avevano interrogati su quel che facevamo, che per essi tutti i problemi di pastorale si riducessero a questo capitolo. No, purtroppo: sarebbe certo più facile; ma se è necessario dare alle nostre comunità cristiane un'intensa vita di preghiera in comune, l'adattamento liturgico non è il solo rimedio ai mali di cui soffriamo. Lo spettacolo della miseria delle anime, l'ansia della conquista esigono altri sforzi più ardui, più importanti e più urgenti. In caso contrario, essi contribuiranno ad intensificare la preghiera comune e creare un'anima comune.

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