UNA LITURGIA VIVENTE E MISSIONARIA

Assistendo alle vostre funzioni ho avuto l'impressione che voi compiate uno sforzo considerevole per far partecipare i fedeli alla liturgia. Credete che la vita del culto della parrocchia abbia una grande importanza missionaria?

Un'importanza enorme. La vita cristiana, alla quale vogliamo far partecipare la massa popolare, non è soltanto un culto: ma essendo la vita di Cristo in mezzo a noi ed in noi, e poiché Cristo è in primo luogo ordinato alla lode del Padre, la vita cristiana è principalmente culto. Per realizzare la nostra ambizione di «rendere cristiani i nostri fratelli», non pretendiamo di condurli in chiesa sui due piedi, di spingerli subito alla messa (essi ci vengono solo ad intervalli, spinti da questa convinzione: «La mistica» cristiana ha un valore per la mia vita totale»): ma sarà pur necessario infine aggregarli alla comunità cristiana che prega ed offre il Sacrificio.

È dunque estremamente importante fornire a questi nuovi convertiti eventuali e desiderati — alcuni dei quali entrano già in chiesa in certe circostanze — un culto cristiano che abbia già di per sé stesso un potere di seduzione, di attrattiva, non di repulsione: che sia anche un insegnamento, non un sonnifero...

E se pensiamo ai fedeli stessi, specialmente ai giovani, la conclusione è la medesima: se vogliamo che non disertino la chiesa, bisogna che essi ci vivano, non che ci sbadiglino: e se vogliamo che vi attingano il dinamismo necessario per diventare militanti, bisogna che le cerimonie che vi si svolgono diano loro vero senso cristiano.

Questo non accade di solito.

Purtroppo! Non occorre fare una lunga inchiesta attraverso le parrocchie, siano esse prevalentemente popolari o a predominanza borghese, per rendersi conto che il culto cristiano, come generalmente viene celebrato, non è affatto seducente; manifesta la noia, il formalismo, l'incomprensione. Un indifferente di buona volontà che entri nella maggior parte delle nostre chiese per vedere che cos'è una cerimonia cattolica, ne uscirà quasi sempre sbadigliando, se non addirittura alzando le spalle.

Eppure, si sono fatti degli sforzi per rinnovare la liturgia!

Ammirevoli sforzi! Non ignoriamo: vorremmo anzi che tutti i nostri confratelli li conoscessero. Non pretendiamo ingenuamente di presentare idee affatto nuove, né di essere i primi ad aver tentato il lavoro che s'impone. Tutt'altro! Abbiamo coscienza di prendere posto in una corrente e di esservi trascinati da altri che lavoravano prima di noi e coi quali ci sentiamo in comunione di spirito. Sappiamo però che quella corrente è ancora troppo debole, che incontra ancora troppe incomprensioni, e soprattutto troppe apatie o timidezze; ed è appunto per renderla più vigorosa, che noi scriviamo questo capitolo.

In che cosa vi pare deficiente la realtà liturgica nella maggior parte delle nostre parrocchie?

Basta descriverla per rendersene conto. Entriamo in una chiesa al principio di una messa domenicale. Cosa vediamo?

Ecco anzitutto una messa bassa, mattutina. Alcuni uomini, presso la porta, stanno in piedi e guardano di solito verso l'altare, talora altrove, e cercano invano di darsi un contegno. Nella navata, un miscuglio di fedeli, in prevalenza donne: alcune recitano il rosario e lo fanno sapere a tutti borbottando e sbattendo le corone: le altre leggono in un libro. Certi fedeli sono seduti, altri inginocchiati; senza ragione apparente, nel medesimo istante, o non importa quando, chi era seduto s'inginocchia, chi era inginocchiato si siede. Solo ad un certo punto si realizza l'unanimità: tutti sono in piedi per il Vangelo. Sull'altare, un prete va e viene, snocciola preghiere che non si sentono a tre metri di distanza, si volta con un rapido gesto per un «Dominus vobiscum» o per un «Orate, fratres», cui risponde soltanto il chierichetto. Egli è evidentemente isolato, tagliato fuori da quella folla che non è un'assemblea, una comunità, ma un aggregato d'individui che pregano alla meglio, come possono. Ad un dato momento si potrebbe stabilire il contatto fra il clero e i fedeli: sale sul pulpito un prete. Annunci parrocchiali, spesso letti male: avvisi diversi, dove la richiesta di denaro occupa il posto d'onore: sermone (riparleremo ancora dei sermoni) nel quale luoghi comuni riuniti in fretta danno un'impressione di cose udite cento volte e senza legami con la vita reale. Poi comincia all'altare il sacrificio propriamente detto: nella navata si scatenano questuanti e le seggiolaie. Spesso lo scopo della questua è annunciato ad alta voce, in diversi punti del percorso. La gente cerca i soldi: la seggiolaia rende il resto: dopo di che i fedeli che tentano di seguire la messa cercano di ritrovare «a che punto si è». La campanella dell'elevazione produce un certo trambusto, poi un certo silenzio: gli uni s'inchinano profondamente, altri guardano l'ostia e il calice. Poi ricomincia il rumore dei soldi, il tintinnio dei rosari, il fruscio delle pagine voltate. Si giunge così alla Comunione: sin dall’Agnus Dei molti cominciano ad alzarsi dirigendosi verso la balaustra: gli altri seguono, per non essere in ritardo. I passaggi sono invasi da una doppia corrente contraria, di chi va e di chi torna. Si ritrova finalmente il proprio posto, non senza essersi talora seccati per via dei vicini molesti: ci si immerge in un profondo raccoglimento. «Ite, missa est!» gli uni se ne vanno, gli altri se ne sono già andati, i migliori attendono la fine dell’ultimo Vangelo. Finalmente! è finita! Si è assistito al più grande atto della comunità cristiana in preghiera: l'offerta di Cristo alla Trinità per mezzo del suo Corpo mistico: la Chiesa.

Alla messa solenne l'atmosfera è diversa. Il prete all'altare si fa sentire di più, perché canta: ma la chiesa è per tre quarti vuota. Ci sono quelli che non possono fare a meno di trovarvisi, necessariamente «richiesti»: i bambini delle scuole, debitamente sorvegliati e tuttavia irrequieti e litigiosi (certo! si annoiano: guardateli e mettetevi nei loro panni. Tutto sommato, che cosa si pretende da essi? che stiano tranquilli; essi lo sanno, ma apprezzano assai poco questo scopo mediocre); le suore che si sono comunicate al mattino presto e che ritornano per fare numero e per dare il buon esempio; il gruppo delle cantanti preposte a garantire l'esecuzione dei canti «di massa»; qualche cantore (o un cantore) negli stalli, ed infine un po' di brava gente dispersa a casaccio nella navata: ecco la quintessenza del pubblico parrocchiale. Quel pubblico, in maggioranza, non canta: ascolta. Per Io più, quasi sempre nelle parrocchie popolari, non capisce; non solo non capisce il latino, ma per lui tutto ciò «sa di nulla», anche se ha il messalino con la traduzione; perchè «sapesse di qualche cosa», bisognerebbe che esso partecipasse al canto e secondo la sua attitudine. Ciò supporrebbe molte condizioni realizzate, fra l'altro un'iniziazione fatta con perseveranza, nessuno gliela dà. Risultato: esso si annoia; con tutta la buona volontà, ma si annoia. Altro risultato: nessuno viene ad aggiungersi ad esso. Lo fuggono, al contrario; rifuggono quella messa grande dell'«ambiente parrocchiale»; ed il pubblico si rarefà sempre di più. Come è possibile vedere il culto ufficiale e solenne che la Chiesa tributa al suo Dio in quell'espressione che è totalmente impersonale? Nessuna comunità in preghiera neppure lì, in quella solenne messa parrocchiale, dalla quale la vita comunitaria è assente come dalle messe mattutine; più assente, anzi, perchè non ci si comunica, o ci si comunica assai poco.

La potrà vedere allora alla messa delle undici? Non c’è più il canto liturgico, sostituito dai pezzi d'organo e dai canti di tribuna (a solo, oppure della Schola). È assente il pubblico popolare, che non si sente a suo agio: in compenso, il pubblico borghese è numeroso e fa «folla». Si pensa che si possa attirare alla messa con quello spaccio di musica religiosa», così poco religiosa alle volte. In realtà, non lo si attira alla messa, ma all'audizione. Senza quella musica, gli uni verrebbero ugualmente, poiché bisogna pure andare a messa, e le undici sono un'ora che fa loro comodo: ma gli altri non verrebbero, o andrebbero a sentire la musica da un'altra parte.

Ma almeno così li possiamo avere ed già qualcosa...

Bel vantaggio, se ciò non serve a farli pregare! Credete che il compimento materiale dell'obbligo della messa, in queste condizioni, sia ciò che Iddio attende? e che corrisponda al comandamento della Chiesa? Canonicamente, senza dubbio; ma possiamo essere soddisfatti d'una religione giuridica? Quelle audizioni musicali sviano il polo d'attrazione, di Dio, del Suo culto, al quale nessuno pensa, verso un'impeccabile esecuzione o verso una voce attraente (fortunati quando non è una voce da opera comica! fortunati quando non si cercano per tirar gente gli artisti di teatro che si fanno udire lì e che si potranno poi udire nella «Carmen» e nella «Traviata»!... Pensate al programma delle «messe di mezzanotte», allo scandalo delle sedie fissate a caro prezzo, all'esclusione dei poveri, in quella notte della santa povertà!)…

Questi programmi musicali, i quali spesso non hanno che un lontano rapporto con il testo della Messa che un prete celebra giù di sotto, su un altare lontano (e noi alludiamo anche a quelli che un'onesta schola parrocchiale eseguisce del suo meglio), quelle melodie o polifonie religiose, hanno l'immenso torto di dispensare il popolo cristiano dalla sua parte di attore, di farne un uditore che sogna e si lascia affascinare (se tale è il suo gusto) più di quanto non preghi.

Non si tratta più del servizio divino, ma di soddisfazione personale, artistica, d'un prete, d'un direttore di schola, di alcuni esteti, a detrimento d'una vita collettiva di preghiera e d'offerta.