I fedeli di Cristo sono sempre stati la minoranza. Questi calcoli numerici non sono forse un poco ingannatori?

Lo sono specialmente quando si fa il censimento dei fedeli nei giorni in cui la chiesa è piena. Ma approviamo per un momento questa soddisfazione; purché in seguito acconsentiamo a domandarci:

- Qual è il valore cristiano di questo pubblico di cui abbiamo fatto il censimento? Tutta questa gente si ama? Forma un blocco comunitario? Si conosce, almeno? Ha il sentimento di appartenere ad uno stesso corpo vivente? Pensano costoro d'essere gli uni membra degli altri? Sono animati da una «mistica»? La cerimonia da cui escono ha fuso le loro intelligenze e i loro cuori in un nobile pensiero e in qualche desiderio ardente? Vanno via con l'ambizione di far penetrare Cristo in tutta la loro vita e di conquistargli tutto il loro ambiente? Sono venuti semplicemente per compiere un dovere e per assicurarsi egoisticamente la salvezza eterna, o per nutrirsi di una vita che dovranno diffondere? Quale spettacolo daranno alla massa degli indifferenti, in mezzo alla quale ritornano? Quello di una famiglia i cui membri si riconoscono dalla carità, dalla lealtà, dalla fede in Cristo, dalla gioia fidente, dal coraggio nella prova? ... o quello d'individui simili agli altri, eccettuate le pratiche più o meno settimanali? Questo gregge fedele, quando lo si guarda, spinge ad essere cristiani? O non agisce piuttosto in senso inverso: «Tutto qui! ... grazie tante! per me è troppo poco... »? Del resto, considerate l'ipotesi di una conversione - non dico la conversione intellettuale di quel signore molto per bene che nell'età matura si sarà rivolto verso la verità cristiana: sarà ancora accettato - ma la conversione di quel militante comunista sinora ardente nel suo anticlericalismo, o la conversione di quella ragazza da marciapiede che dava scandalo. Come saranno accolti? Si accetta Maria Maddalena, perchè è nel Vangelo... vorrei vederla arrivare in una delle nostre riunioni femminili!... Si trovano stupefacenti le reticenze dei Giudei di Gerusalemme, quando Saulo (Paolo) il persecutore si presenta ad essi trasformato in proselito... vorrei vederlo capitare nel circolo degli uomini!... E quale scandalo. se si moltiplicasse in dozzine, se invadesse l'ambiente (l'ambiente parrocchiale), sconvolgendolo col suo strano contegno! «Non siamo più tra noi... la parrocchia non è più ciò che era...». L'atteggiamento di noi cattolici verso il convertito non è forse, per istinto, quello del fratello maggiore verso il figliuol prodigo, quando questi ritorna all'ovile?

Mi sembra dimentichiate quelli della I.O.C. (Gioventù cattolica)

Non li dimentichiamo. Domandiamo solo:

- Come sono stati accolti, come sono tuttora accolti quelli della I.O.C. in certe parrocchie? Sono stati appoggiati? Sono stati riconosciuti come tipi di quel che dovrebbe essere il cattolico, in piena vita, nel suo ambiente naturale, preoccupato della sua conversione a Cristo? O come eccezioni, tollerabili a causa della loro buona volontà e generosità, ma difficilmente assimilabili alla parrocchia, quale essa era concepita?

Ma perchè i nostri cattolici nel complesso mancano di vitalità cristiana; di vitalità senz'altro? Perchè siamo infatti costretti a rispondere per lo più negativamente alla maggior parte delle vostre domande rivolteci un momento fa? Di chi la colpa?

Colpa nostra, purtroppo! Noi non dimentichiamo certamente la formidabile pressione che esercita sulle coscienze un materialismo, un sensualismo che ha penetrate tutte le nostre istituzioni, tutti i nostri programmi di vita. Ma siamo noi pure responsabili della debolezza dei nostri fedeli a reagire contro di esso.

Non abbiamo ridotto i nostri parrocchiani ad essere solo ascoltatori di sermoni e di conversazioni, anche in quei circoli dove si ritengono in dovere di parlare essi stessi? Non devono forse accontentarsi di registrare, senza possibilità di reazione da parte loro, i nostri argomenti, i nostri pareri, i nostri ordini, i nostri consigli? Più che dei trascinatori, non siamo noi per essi dei superiori? Ci lamentiamo della loro passività: ma dove avrebbero potuto prendere l'abitudine dell'attività?

Attivi talora, ed efficacemente attivi nella loro professione o nel loro ambiente, sul piano puramente naturale, li abbiamo avvezzati ad essere, nella chiesa ed intorno alla chiesa, persone che ricevono soltanto per custodire, per conservare, talvolta per difendere, ma non per dare: esseri passivi.

La parrocchia è diventata l'affare privato del clero, non dei fedeli. Essi vengono scartati persino nella amministrazione temporale: invitati a dare denaro per le opere, mai a controllare l'uso che viene fatto di questo denaro. Ancor più stanno in disparte dal lavoro apostolico.

È vero che, da Pio XI in poi, si ripete loro che hanno un dovere d'azione cattolica, che devono essere apostoli; ma quali mezzi si forniscono loro? Quali iniziative vengono loro lasciate? Quale parte di lavoro è loro affidata deliberatamente, istituzionalmente? I movimenti della Gioventù Cattolica hanno talora preso questa parte; ma con quanta timidezza gliel’abbiamo lasciata prendere! Con quali reticenze e contraddizioni! Noi facciamo la parte dei freni; mentre essi avrebbero bisogno di motori... E cosa ne facciamo di quelli che non appartengono a questi movimenti? 

Voi richiamate le recenti riflessioni di “Jeunesse de l'Eglise”.

Sì. Avete anche letto l'inchiesta: «Il cristianesimo ha devirilizzato l'uomo? Rispondevano ad essa molto bene Stanislao Fumet, Padre Sertillanges, Dunoyer de Ségonzac, Giovanni Lacroix, Enrico Charlier, don Colomb (N. 2, pagg. 65 e sgg.).

Evidentemente questa domanda richiede una risposta decisamente negativa se si tratta del cristianesimo di Cristo; ma, ahimè! quante riserve di affermazioni parziali, se si tratta del cristianesimo quale noi lo presentiamo troppo spesso! Non si può negare che vi sia una parte di verità in queste poche frasi spigolate a caso dalla lettura:

— Si paragona la santa Chiesa ad una madre troppo piena di precauzioni, la quale, per impedire ai suoi bambini di scivolare su una cattiva strada, li tenesse in casa in uno stato d'infanzia o di pseudoinnocenza che non permetterebbe loro di diventare uomini... (pag. 68).

 Ci sono troppe confidenze private, perchè noi possiamo mettere in dubbio che una certa educazione religiosa abbia prodotto (meno tra il popolo, è vero, che nelle classi dirigenti) un tipo d'uomo deficiente, dapprima scrupoloso, poi timorato, pauroso della propria ombra; un individuo troppo strettamente allevato fra le sottane della Chiesa visibile (pag. 71).

— In linea generale, tutto ciò che circonda la nostra vita cattolica ha bisogno di liberarsi da un'atmosfera tiepida e snervante, che ha finito per falsare il senso delle più rigorose verità e per mascherarne la sana e profonda realtà. Grazie a Dio. il cattolicesimo non si esprime sempre colla fabbrica d'immagini di S. Sulpizio, della quale il meno che si possa dire è che essa non dimostra né forza né carattere, ma vorrebbe volentieri una mediocrità inoffensiva nelle sue manifestazioni. Per poco non si finirebbe per fare della piccola suor Teresa una brava ragazza dolcissima e timidissima: si fa un soverchio uso delle frasi; «buon ragazzino», «buon giovanotto», «pia fanciulla»: i direttori di coscienza mancano di severità e non sanno (fatto caratteristico!) sbarazzarsi delle troppo numerose vecchie signore e signorine che ingombrano le sagrestie e fanno perdere a troppi preti un tempo prezioso (pag. 81).

A che pro continuare con queste citazioni e con questi argomenti? Siamo tutti d'accordo, per poco che riflettiamo e siamo leali.

Anche se citiamo magnifiche eccezioni - noi le conosciamo ed esse ci danno speranza - non si modificano queste constatazioni, che valgono per l'immensa maggioranza dei casi: l'ambiente parrocchiale non è una comunità, non ha il dinamismo delle primitive cristianità, non ha nessuna forza capace di intaccare il mondo pagano nel cui seno vegeta.

Si sono fatti uscire degli individui dal loro ambiente naturale per collocarli in quell'ambiente fittizio, senza colore e senza vigore, che è da noi chiamato «l'ambiente parrocchiale»; si è data loro una tinta «ecclesiastica» , cioè vagamente borghese, dove i borghesi stessi non si sentono affatto a loro agio se hanno una certa cultura, perchè si vedono superiori da questo lato; dove gli operai non si trovano per niente nel loro ambiente naturale, al quale tuttavia diventano a poco a poco estranei, sino a diventarvi inefficaci; dove si trovano veramente a posto soltanto le «persone incaricate delle opere» devote e servizievoli quanto mai, anche quando la loro lingua serve male la loro buona volontà, ma veramente inadatte alla conquista apostolica, e soprattutto alla conquista del proletariato pagano. che è qui l'oggetto della nostra principale preoccupazione.

Allora? come potrebbe la parrocchia ridiventare una comunità, una cristianità del tipo primitivo capace dell'opera missionaria che le si impone?

Ecco il problema: è immenso. Noi non pretendiamo di risolverlo. Comprendiamo la sua urgenza e sappiamo che, con noi, se lo pongono migliaia di preti e di laici. Nei colloqui seguenti, verremo esponendo modestamente le riflessioni che esso ci ispira, Ma ripetiamo qui, e ripeteremo ancora alla fine, che nulla verrà concluso provando, come una ricetta, l'una o l'altra delle riforme che noi invochiamo.

Un bel numero di altre considerazioni potrebbe esser fatto e noi saremmo felici di averle provocate.

Possano esse, unite alle nostre, sfociare in una realizzazione pratica, con la quale, applicandole tutte assieme, la parrocchia tornerà ad essere una comunità conquistatrice, uscendo finalmente dall'«ambiente parrocchiale»!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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