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II

AMBIENTE PARROCCHIALE O COMUNITÀ?

 

Credete che la Parrocchia sia capace di compiere quella parte missionaria che voi rivendicata per essa?

Sì, ma a patto che si rinnovi arditamente.

In quale senso vedete necessario questo rinnovamento?

Ne preciseremo i dettagli nei colloqui ulteriori; ma precisiamo sin d'ora che in primo luogo ciascuno farà parte di un tutto e che nessuna delle riforme proposte, presa isolatamente, avrebbe efficacia. È l’insieme che farà una parrocchia conquistatrice. In secondo luogo, quelle riforme possono riassumersi in una formula: la parrocchia deve cessare d'essere solo un «ambiente parrocchiale», per ridiventare una «comunità».

Cos'è che impedisce alla parrocchia d'essere missionaria? II fatto d'essere ridotta all'ambiente parrocchiale, che la rinchiude, la paralizza, le dona l'illusione d'una vitalità che è soltanto fittizia, oppure, se si vuole, reale, ma come chiusa in un recipiente. Che cosa permetterebbe alla parrocchia di ridiventare missionaria? Il fatto di tornare ad essere una comunità.

Che cosa intendete dire con ciò?

Aprite gli Atti degli Apostoli. Essi ci descrivono una crisi della Chiesa nascente che offre sorprendenti analogie con le nostre difficoltà attuali: la crisi giudeo-cristiana.

Che cosa vi scorgiamo? Secondo l'ordine del Signore, il Vangelo è stato prima predicato ai Giudei: i primi «fratelli» sono stati conquistati nella sinagoga. Naturalmente, hanno conservato i loro costumi, il loro attaccamento alla legge di Mosè, alla distinzione fra alimenti puri ed impuri, alle abluzioni legali, alla circoncisione, ecc... Hanno fatto una sintesi dei loro modi di vivere e della loro nuova fede in Gesù Cristo. Ma ben presto i pagani sono raggiunti dalla predicazione cristiana ed entrano nelle nuove comunità: San Pietro battezza a Cesarea il centurione Cornelio, i Giudei ellenisti di Cipro fanno conquiste tra i pagani di Antiochia; arriva San Paolo, che amplifica quel movimento, estendendolo da Antiochia a tutta l'Asia Minore, alla Grecia, ecc...

Ecco sorgere immediatamente la difficoltà: in quali condizioni saranno ricevuti quei convertiti dal gentilesimo? I giudeo-cristiani intransigenti, i quali non concepiscono che si possa essere salvi al di fuori d'una certa appartenenza al «popolo eletto», vogliono imporre loro le osservanze mosaiche: i giudeo-cristiani moderati acconsentono a non imporle, ma le conservano per sè stessi. San Pietro in Antiochia diserta persino la tavola dei convertiti dal paganesimo, per mangiare solo coi convertiti dal giudaismo, onde non urtare gli intransigenti. Allora San Paolo si alza e reclama a tutta forza la «libertà dei figli di Dio»: se s'impone la legge mosaica ai pagani, è finita con la divulgazione del Vangelo: basta la fede in Cristo, basta la vita cristiana: e d'altra parte, se si serbano quelle distinzioni d'alimenti e di tavole, è finita con l'unità cristiana. La spunta San Paolo: nel concilio di Gerusalemme si decide di non imporre ai gentili quel che non potrebbero portare («Il mondo non si sarebbe mai fatto giudeo», ha detto egregiamente Mons. Battifol); per qualche tempo i convertiti dal giudaismo mantengono le loro usanze, ma ben presto la loro minoranza si fonde nella maggioranza dei pagani che affluiscono. Non vi sono più che comunità cristiane, dove si sono fusi tutti gli elementi.

Il dinamismo della conquista è salvo: il mondo si farà cristiano.

Perchè ricordate questa crisi?

Perchè è il prototipo di molte altre che la Chiesa ha conosciute nella sua storia, e specialmente di quella di cui soffriamo. Noi che siamo in pieno ambiente popolare, possiamo dire nettamente, modificando il detto di Mons. Battifol, che «il mondo popolare non si farà mai parrocchiale» nel senso cui abbiamo dianzi accennato. C'è incompatibilità di carattere e più ancora. Due casi: o la parrocchia resterà chiusa in quello che abbiamo chiamato l'«ambiente parrocchiale» e il mondo popolare rimarrà fuori: oppure la parrocchia si aprirà in «comunità» e ci sarà un'altra crisi, cioè conflitti, difficoltà, proteste dei pesi morti e dei tradizionalisti. Ma se San Paolo la spunterà, il mondo popolare entrerà nel cristianesimo.

Che cosa intendete dunque con la parola comunità?

Ricordate le prime comunità cristiane. Che cosa erano? Gruppi in cui dominavano la semplicità e la carità. I tessitori di tende vi si confondevano coi medici; i domestici della casa imperiale con le donne dell'alta società. Non c'era più, secondo l'espressione di San Paolo, «né greco né giudeo, né uomo libero né schiavo, ma una sola persona in Cristo Gesù», sebbene ciascuno rimanesse nella propria classe e condizione. Ognuno si chiamava «fratello» e lo era in realtà. Non avevano che «un cuore e un’anima». Si riunivano per i pasti fraterni e per la «frazione del pane» Assistevano i loro poveri, affinché nessun fratello mancasse di nulla. Con la forza della loro fede e con la loro costanza in mezzo alle persecuzioni, erano i testimoni di quel Cristo che annunciavano: e più ancora con il loro reciproco amore. Non si riconoscevano perchè erano d'un determinato ambiente, ma perchè si amavano nell'amore di uno stesso Dio.

Tutti convertiti di recente, erano dinamici e convertitori. Filosofi di Atene, antichi capi di Sinagoghe, o nati nei bassifondi di Corinto o di Efeso, formano un'unità nuova. E come scrive Padre Lebreton «La Chiesa si assimila tutte queste reclute: appena hanno ricevuto il battesimo, quei cristiani di tutte le origini non formano più che un solo corpo, il Corpo di Cristo. È questo che dà alla comunità cristiana la sua profonda unità ed il suo carattere essenzialmente religioso: non è la nascita che l'ha creata, né l'educazione, né la libera scelta delle simpatie umane: è la fede, con la quale il neofita si è attaccato a Cristo ed ha abbracciato in lui tutti i cristiani suoi membri» (Cfr. «Comunità cristiana primitiva» in «Comunità e religione» - pag. 36). Con questa fede e con questa carità, essi agiscono nel vecchio mondo pagano come un fermento, e un apologista ignoto del III secolo potrà dire:  I cristiani sono nel mondo ciò che l'anima è per il corpo («Epistola a Diognete»). Tanto che in tre secoli le comunità cristiane hanno invasi e rovesciati tutti gli strati della società, in tutta l'estensione dell'impero romano.

Le nostre Parrocchie non sono più quelle comunità?

Guardate soltanto un po' più da vicino queste parrocchie e specialmente nei nostri ambienti pagani! Entrate in una chiesa alla domenica, all'ora della messa solenne. Chi vi trovate? alcune suore, dei bambini, qualche donna, qualche vecchio, un gruppo di «cantanti». Quanti adulti, dai venti ai cinquant'anni? Quanti uomini, soprattutto? Quanti di quelli che sono in piena vita e che «fanno» la vita? Alle messe mattutine, in cui si fa la comunione, chi erano le persone «pie»? che cosa rappresentano costoro nel loro ambiente di lavoro o di famiglia? quale dinamismo, quale influenza, quali valori naturali? E alle messe delle undici e di mezzogiorno? Lì, la questione è inversa: molta gente in piena vita e in piena vitalità... ma quale cristianesimo professano? quale interesse ha per loro il Vangelo? e che cosa rappresentano per l'ambiente popolare che hanno attraversato per venire in chiesa, individui di un'altra classe sperduti nella massa del quartiere?

Non vorremmo per nulla esagerare. Conosciamo parrocchie dove giovanotti, ragazze, famiglie (popolari o borghesi) realmente viventi nell'ordine dei vaIori umani, sono anche realmente viventi della vita soprannaturale ed incarnano la loro vitalità cristiana nella loro vitalità umana. Sono pochissimo numerosi. E il più delle volte «la parrocchia» non c'entra per niente ed essi pensano, riguardo alla parrocchia, quello che noi vi diciamo. Altre comunità li hanno formati a questa vitalità; altre influenze; ed essi non trovano nell'ambiente parrocchiale quella cristianità primitiva dove potrebbero farla sbocciare. Oppure (non vogliamo essere ingiusti, né dimenticare ciò che abbiamo presente all'intelligenza) se la parrocchia c'entra per qualche cosa, se lo sforzo del clero è stato realmente orientato in questo senso, il clero stesso deplora ciò che noi deploriamo e si augura ciò che noi ci auguriamo. Anche noi siamo preti di parrocchia e sappiamo quanti confratelli la pensano come noi. È appunto questo che ci incoraggia a pubblicare le nostre riflessioni.

Chi ha predicato sermoni alle «madri cristiane» sa lo scoraggiamento che si è impadronito di lui davanti a quell'uditorio di nonne che venivano generosamente a far numero, e come cercava invano con Io sguardo quelle donne che avrebbero potuto trarre profitto dai consigli di educazione che egli aveva cercati per loro.

E dove sono i «padri cristiani»? Questi uomini, una debolissima minoranza nella parrocchia, che sono venuti a seguire i tre sermoni del ritiro pasquale e che fanno ugualmente numero nella navata centrale alla loro messa della domenica di Pasqua, quando si rivedono? dove si possono trovare? E quanti restano sempre fuori da qualsiasi ritiro?

L'ambiente parrocchiale: le figlie di Maria col velo e il nastro azzurro, i bimbi del catechismo, le signore dell'Associazione, alcuni «buoni giovani», alcuni «uomini di Francia del Sacro Cuore» ... Nelle parrocchie borghesi, un rispettabile numero di ottime famiglie maschera la mancanza dell'immenso popolo che non viene. Nelle parrocchie popolari, dove quella maschera manca, abbiamo l'assenza totale.

 

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