Si può concepire in altro modo la parrocchia?
Sì, ed ecco questa seconda concezione.
Essa consiste nel dire a sé stessi, dopo aver guardato sul piano della città il tracciato della propria parrocchia, e dopo averne fatto il giro a piedi:
— La mia parrocchia è il territorio limitato dalle altre parrocchie; tutte le strade che lo solcano, anche il sentiero che si perde fra i campi, tutte quelle case e quelle capanne dove vive qualcuno, sino alla chiatta definitivamente ferma sulla riva della Senna. I «miei parrocchiani» sono tutti coloro che abitano questa porzione a me affidata: tutti, senza eccezione, tutti, senza che nessun motivo, nessun pretesto di nazionalità, di degenerazione o di opposizione religiosa possa scaricarmi della responsabilità della loro anima, di conseguenza, sono tali tutti quelli che non vengono a me, tutti quelli che non conoscerò forse mai, se non vado a loro: tutti quelli che incontro, anche gli algerini, anche i cinesi, sono miei parrocchiani, ed io devo dirmi: «Sono io, il loro parroco, che porto il peso della loro anima». La vita della mia parrocchia è la vita di tutta quella gente: la vita religiosa di quelli che ancora ce l'hanno (posso sapere, del resto, se non ne resta almeno unalla in coloro che a me ne sembrano i più sprovvisti?) , ma anche tutta la vita di tutti: la loro vita di lavoro, di piaceri, di famiglia, di quartiere, i loro viaggi. Essa è fatta dell'atmosfera che essi respirano, degli avvenimenti che li tengono occupati, delle gioie e dei dolori da cui sono provati, delle influenze che subiscono: influenze del medico che li cura, del giornale che leggono, del caporione che ascoltano, del cinematografo dove vanno assai più numerosi che in chiesa... Io incontro dunque la mia parrocchia a mezzogiorno, quando l'officina lascia liberi i suoi operai; alle 13,30, quando i monelli vanno a scuola; nelle code mattutine per le compere nei negozi; al termine del pomeriggio i treni dei dintorni me la restituiscono a ondate successive. È qui che essa, dalle 6 alle 7, si trascina sui vari trivi a crocchi di otto o dieci fra giovanotti e ragazze. La vita della mia parrocchia è tutto questo, e tutto mi sta a cuore, perchè tutto questo e infinite altre cose sono importanti per le anime.
Ma tutti i preti non sono d'accordo su ciò?
Certamente, in teoria: ma nella pratica, quanti sono coloro che si comportano secondo la logica che questa concezione richiederebbe? Non siamo ancora giunti al rovescio delle cifre date dal Signore nella famosa parabola, e cioè la centesima pecora fedele contro novantanove che lasciano l'ovile. Mamma, ahimè! noi realizziamo spesso questo aforisma d'un direttore di seminario: - Non si corre più dietro alle pecorelle smarrite; si lasciano galoppare sulla montagna le novantanove infedeli, per disputarsi il privilegio di accarezzare la centesima che è rimasta.
Ciò non deriva dal fatto che noi confondiamo praticamente il regno di Dio col nostro proprio regno, il progresso del regno di Dio con la nostra influenza su un piccolo gregge?... E che cosa importa che sia piccolo, purché l'abbiamo bene in pugno...
Eppure, non c’è qualche utopia nel voler pensare ostinatamente a quelli che non vengono, dimenticando coloro su cui si può contare? E non è giusta la massima: «Prima di conquistare gli altri cerchiamo anzitutto di conservare coloro che possediamo»?
No! Aprite il Vangelo: da volerlo o no, anche se ci sembra meno facile, meno razionale, occuparci meno di ehi ci circonda per correre dietro a chi è lontano, non facciamo che obbedire all'invito di Cristo: mentre invece, se dimentichiamo gli altri, gli smarriti. nella costante preoccupazione di guidare il piccolo gregge rimasto fedele, nulla abbiamo di evangelico. Forse il Vangelo non è pratico, forse talora è un po' utopista... Un giorno abbiamo sentito dire da un nostro buon curato:
- Oh! mio caro amico, non si può pretendere di applicare sempre il Vangelo!
Eppure, non è forse col metodo puramente evangelico che San Paolo e Apostoli hanno trasformato il mondo? E non sarebbe forse coi nostri metodi troppo razionali che saremmo in procinto di lasciarlo perire? Non è per altro detto che si debbano necessariamente abbandonare gli uni per correre dietro agli altri. Si tratterebbe forse di lanciare gli uni, come noi e con noi, all'inseguimento degli altri... Ma su questo argomento ritorneremo poi.
Quello che è certo, e su cui dobbiamo in primo luogo insistere fortemente, è che il nostro modo di concepire la parrocchia è della massima importanza per determinare il suo compito nell'opera missionaria.
Se la parrocchia non è che il centro di riunione dei cristiani, il raduno dei fedeli per le funzioni, per i circoli o per le opere — sia questo il risultato di un'improbabile teoria o semplicemente della realtà pratica — allora bisogna pur convenire che la parrocchia è impotente ad attirare il 98% delle masse operaie che ignorano Cristo, e che bisogna lasciare a missionari specializzati la Cura di tentare tale lavoro. Se al contrario, abbandonando le usanze e voltandosi arditamente verso nuove forme di apostolato, s'intende la parrocchia come cellula viva destinata a prolificare su tutto un territorio, si può credere che essa ha la sua funzione nel lavoro missionario.
Pensate dunque che ce l'abbia cotesta funzione?
Senza alcun dubbio. E la prima ragione è che essa esiste. Buona o cattiva, bene o male preparata alla sua parte, compiendola o dimenticandola, hic et nunc essa è un fatto: se non in realtà, almeno di diritto, essa è la cellula di cristianità, la cellula d'incarnazione del divino, della quale parliamo. Qualunque sia il suo futuro destino, nell'ora attuale, e verosimilmente ancora per lungo tempo, l'elemento stabile dell'evangelizzazione.
E se ora guardiamo l'insieme d'un territorio come la Francia, o anche semplicemente come Parigi e i suoi dintorni, bisogna aggiungere che l’insieme delle parrocchie costituisce una magnifica rete. Non un angolo che non abbia la sua. L'amministrazione civile è ben lungi dall'essere così fornita, poiché molti comuni contano diverse parrocchie. Una delle nostre idee più care è che non ve ne siano ancora a sufficienza, che occorra moltiplicarle considerevolmente. Ma precisamente la costruzione di nuove chiese ha dimostrato che l'organizzazione parrocchiale è non solo una rete possente, ma anche una rete molto flessibile, che può arricchirsi all'infinito.
È già qualche cosa esistere e non doversi porre il problema del proprio diritto all'esistenza, né della propria esistenza stessa: è qualche cosa sapere che si è, quando altri devono chiedersi che cosa saranno. È qualche cosa essere riconosciuti, impiantati, istituiti, invece d'essere una novità che altri attaccano. Ma non è tutto. La parrocchia è equipaggiata: anzitutto ha i suoi preti: da sempre, il clero parrocchiale ha costituito, nella Chiesa, il grosso delle forze. Sono quelli che hanno voluto tutto il compito, come si sarebbe presentato, là dove li avrebbe mandati il vescovo. Sono quelli che, giorno e notte, rappresentano la Chiesa agli occhi delle popolazioni. Vivono in mezzo al popolo che evangelizzano. Sono, o possono essere, o devono essere a contatto permanente con quel popolo. Sono essi che la gente vede passare per la strada, sono essi coloro a cui la gente si rivolge, sapendo che solo essi hanno autorità per decidere dei principali atti della loro vita cristiana. E se si addiziona il numero di questi preti, se si considerano gli effettivi di ciascuna parrocchia, si misura allora quale coefficiente d'azione possono rappresentare (ahimè! noi diciamo «possono rappresentare», non «rappresentano») questi parroci e viceparroci, tutti apostoli, tutti accaniti nei medesimi problemi complessivi, ciascuno dei quali svolge nel proprio settore il grande compito dell'apostolato.
Rammentiamo che al Congresso della I.O.C. del 1937, quando i giovani si affollavano nelle tribune intorno ai loro cappellani, il segretario della Gioventù Socialista si curvò verso don Godin e gli disse: - Quanti cappellani avete! Se noialtri avessimo altrettanti uomini che si consacrassero a militare per tutta la vita, quanto lavoro faremmo!
Ora, tutti i preti in cura d'anime sono più numerosi di quel che non fossero i cappellani della I.O.C. Aggiungete a questo numero le suore d'ogni abito, d'ogni congregazione, sparse nelle parrocchie, con l'unico scopo di aiutare il ministero parrocchiale (ce ne sono più di 5000 nella diocesi di Parigi): aggiungetevi quei laici e quelle persone delle opere la cui giornata è interamente occupata al servizio della parrocchia:... Non vi chiederete allora: «La parrocchia può fare qualche cosa?»; ma piuttosto: «Come mai la parrocchia non fa di più?»
Non basta. La parrocchia ha i suoi militanti di ogni movimento e di ogni opera. Ve ne sono di abilissimi, la cui influenza è enorme. Essa ha tutti quei fedeli che vivono in mezzo a quel popolo e che potrebbero, che dovrebbero essere orientati verso di esso. Dal punto di vista fisico, ha la sua chiesa, ed è qualcosa, è una realtà che anche i più lontani ignorano difficilmente. Molti non vi hanno mai messo i piedi? forse; ma assai più numerosi sono quelli che vi entrano in certe circostanze. Per tutti, essa è là: s'impone, almeno come testimonianza, come simbolo di un'altra realtà di cui essi ignorano tutto, o che (cosa peggiore) concepiscono come ben diversa da ciò che è, ma che tuttavia intuiscono in modo confuso.
La parrocchia ha le sue sale d'opere, piccole o grandi; e Dio sa quanta fatica c'è voluta in questi ultimi cinquant'anni per costruirle e per arredarle! Non si riempiono e sono uno spauracchio per molti? d'accordo: sono però ugualmente un mezzo d'agganciamento per taluni e forse potrebbero presentarsi diversamente agli altri. La parrocchia ha il suo bilancio, le sue entrate piccole o grosse, sicure o incerte, che nondimeno formano una possibilità materiale. La parrocchia ha i suoi mezzi d'espressione, i giornali, gli opuscoli, i bollettini: ha la sua cattedra ufficiale e sempre aperta.
Al disopra di tutto ha il peso ufficiale del lavoro missionario sul territorio a lei affidato. Continua le comunità cristiane che gli Apostoli fondavano dovunque passavano, come lo vediamo negli Atti degli Apostoli, ed alle quali si univano tutti i nuovi convertiti di uno stesso luogo. Se rinuncia, di deliberato proposito o semplicemente di fatto, ad annunciare Cristo alla maggioranza degli abitanti del suo territorio, manca alla sua missione e tradisce il mandato che ha ricevuto. Si faccia aiutare, se occorre, da collaboratori specializzati: nulla di più normale. Ma che essa abbandoni il peso degli infedeli per dedicarsi ai soli fedeli, significa misconoscere la volontà di Cristo a suo riguardo. A più forte ragione, se quegli ausiliari non esistono, urge che la parrocchia si orienti nettamente verso gli infedeli.
In breve, la parrocchia apparisce come la cellula — madre essenziale — che deve essere la base di ogni apostolato. Infine, supponendo realizzata la conquista, almeno in parte, si saranno aggregate a lei tutte le nuove cellule, per vivere la vita comune. Immaginate il più magnifico dei catecumenati e noi diremo quanto è necessario — separatelo finché volete dal grosso dei fedeli: bisognerà pure che, quando i catecumeni saranno stati formati, vengano un giorno a raggiungere il resto del gregge. Senza dubbio, a rigore, potrebbero per tutta la vita trovare il loro rifornimento spirituale fuori della parrocchia, ma dove andrebbero, se non in parrocchia, per tutti gli atti ufficiali della loro vita cristiana, per il loro matrimonio, per il battesimo dei loro figli, per la sepoltura dei loro genitori?
Di qui e vi ritorneremo sopra nel nostro ultimo colloquio non solo il dovere, ma l'urgenza per la parrocchia di diventare accogliente nei riguardi dei nuovi convertiti. La parrocchia è pronta ad accettare, si fa un dovere di accettare tutto l'aiuto che può venirle da altre parti: dovrebbe anzi avere abbastanza iniziativa per suscitare questo aiuto, per chiamare all'azione tutte le forze possibili: dovrebbe offrire deliberatamente il posto a tutti coloro che si presentano per lavorare alla conquista, perchè in fin dei conti, da qualunque parte vengano, lavorano per lei.
Ma di qualsiasi genere siano queste forze nuove, per quanto siano generose, potenti, ingegnose, e necessarie, indispensabili, la parrocchia rappresenterà sempre il grosso delle forze, presso a poco come nelle battaglie d'ogni tempo c'è voluto e ci vuole ancora il grosso delle forze di fanteria. La fanteria è battuta, se non accetta le armi e le strategie moderne: ma quando l'aviazione oi carri armati l'hanno preceduta e aiutata, resta ancora indispensabile, e nulla si conclude senza che essa abbia dato dovunque il suo decisivo apporto.
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