J. MALLON, Divino Rinnovamento

Prete in parrocchia

estratto da J. Mallon, Divino Rinnovamento pag. 191-195)


Generalmente le chiese che sono in buona salute, in crescita e impegnate nel «fare discepoli» adottano un modello di chiesa locale che sia una «comunità di comunità». Queste comunità più piccole si riuniscono in una sola comunità nell'eucaristia della domenica.

Molti distinguono tra piccoli gruppi, formati da 8/12 persone, e gruppi di media grandezza che comprendono tra 25 e 35 persone.

Abbiamo già esaminato come, nella cultura della post-modernità, le persone sperimentano la conversione e la trasformazione della propria vita primariamente mediante l'esperienza dell'appartenenza.

Nel momento della loro conversione o del loro risveglio, hanno preso coscienza della necessità di vivere in una comunità significativa, di avere un luogo dove essere conosciuti, amati, stimolati e sostenuti.

 

Come può essere possibile una simile esperienza in una normale parrocchia cattolica?

Tradizionalmente toccherebbe al parroco lodare le persone o riconoscere il loro impegno, prendersi cura dei parrocchiani e incoraggiarli, interessandosi della loro crescita spirituale.

Ciò può ancora funzionare in una piccola parrocchia dove c'è un rapporto molto stretto tra sacerdote e popolo, ma oggi questo non è più il caso nella maggior parte delle parrocchie. Piu grande è la parrocchia, più piccola diventerà la possibilità che ciò avvenga. Dunque, si deve porre come priorità il fornire occasioni in cui si sperimenta una comunità autentica.

Molti cattolici danno importanza solo al ministero compiuto dal sacerdote e pensano di avere un legame significativo con la parrocchia solo se hanno un rapporto personale con il pastore.

Se il sacerdote non è in grado di essere presente a tutte le riunioni di un comitato, di una équipe o di un gruppo, dovrebbe farsi vedere almeno una volta ogni tanto nei vari gruppi.

Il problema è che se rimaniamo legati a questo tipo di valutazione, il numero di comunità significative sarà sempre limitato in una parrocchia. Ciò potrebbe funzionare in una piccola parrocchia.

In una parrocchia di vaste dimensioni, che sia in buona o cattiva salute, questo modello centrato sulla presenza del sacerdote è già del tutto limitante.

Questo è un problema che mi assilla di notte, quando sto cercando di dormire. Per me non è un problema astratto, ma qualcosa che ha dei volti e dei nomi ben precisi.

Talvolta penso a qualcuno che non ho visto da un po' di tempo, e mi domando: «Che cosa gli sarà capitato? Dov' è quel tale? Chi si sta occupando di quella persona?».

 

Per la nostra gente è proprio facile perdersi nella folla e trovarsi in difficoltà, anche per quelli che hanno avuto la grazia di autentiche esperienze con il Signore…

e penso anche al grande numero di ragazzi battezzati e appena cresimati che si sono allontanati alla chetichella.

Noi portiamo le persone ai sacramenti dell'iniziazione cristiana mediante l'esperienza di gruppi piccoli o di media grandezza. È un'esperienza che trasforma e dà sostegno.

Il culmine di un percorso abbastanza lungo finisce per molti neofiti con l'entrare a far parte di una popolazione generica. Si riceve una pacca sulle spalle, un «Benvenuto nella chiesa come membro a pieno diritto» e un augurio di «Buona fortuna».

Sono assillato anche dal problema di come si possa aver sufficiente cura delle persone che abitano nella mia parrocchia.

 

Se un parroco con una popolazione di 2000 famiglie volesse spendere dieci ore alla settimana per visitare le famiglie, dedicando a ciascuna di esse un'ora di tempo, avrebbe bisogno di circa quattro anni prima di poter ritornare e riprendere la conversazione con la famiglia già incontrata. Questo genere di situazione non è accettabile come criterio di cura pastorale.

 

In realtà, a meno che una disgrazia molto grave non colpisca una famiglia, nella maggior parte delle parrocchie il sacerdote non è in grado di comparire alla porta dei suoi parrocchiani.

Il prendersi cura, dunque, deve diventare il lavoro di tutti, non solo del pastore. Solo così una chiesa diventerà sana. Solo allora i parroci saranno liberati da un fardello impossibile da portare e potranno vedere che la comunità si realizza. Per far sì che ciò accada è necessario una sorta di resa, ed è un arrendersi doloroso.

 

Ho lottato tanto con la sensazione che provavo di essere «un cattivo prete».

Nel fine settimana al termine della terza messa festiva, ho potuto vedere in chiesa circa 1700 persone, ne ho salutate un centinaio e ancora ho da celebrare un'altra messa. Decine di parrocchiani mi domandano di pregare per i loro cari, e molti, uscendo, mi dicono: «So che lei è molto occupato, padre, ma se per caso può, le dico che mio marito è ricoverato in ospedale, settimo piano, stanza 46». I parrocchiani mi informano sul loro stato di salute e su quello dei propri cari, e spesso mi parlano presumendo che io conosca esattamente chi essi siano e mi ricordi ogni dettaglio di ciò che mi avevano detto tre settimane fa.

Ascoltare e rispondere fa parte del mio dovere come padre della parrocchia, ma come posso rispondere a tutto ciò?

Troppo spesso mi sento del tutto esausto, inaridito, senza nient'altro da dare. Un giorno, dopo una messa feriale, tornai a casa e nel mio diario scrissi queste righe:

Oggi dal retro della chiesa fino alla sacrestia sono stato fermato una decina di volte per ascoltare quelli che mi raccontavano come il cane del nipote stava morendo e che altri fratelli erano malati, avevano un tumore e stavano male.

La gente ha bisogno di essere ascoltata, ma è questo il mio vero ruolo? Non sono diventato prete per confortare le vecchie signore, ma per guidare le persone nella missione di conquistare il mondo a Gesù, in modo che ogni anziana vecchietta possa avere qualcuno che le dia conforto in nome di Gesù.

Spero di non offendere nessuno con queste parole, che furono scritte in un momento di angoscia.

La verità è che, se dobbiamo diventare una chiesa in cui ciascuno riceve l'attenzione e la cura di cui avrebbe bisogno, dobbiamo riconoscere che questo non è il compito specifico del sacerdote.

I sacerdoti devono avere il coraggio di dirlo apertamente alla gente, e i parrocchiani devono avere il coraggio di comunicarlo ai loro sacerdoti.

Sono convinto che la formazione di gruppi piccoli e di media grandezza possa servire a dare una risposta a questo dilemma.

(J. Mallon Divino Rinnovamento pag. 191-195)